Perché politicamente oggi ci si odia? Perché si spara a un leader politico? Perché si leggono sui giornali e sui social titoli militarizzati? X sbaraglia Y… Z non fa prigionieri… Il sindacato Abc si batterà fino all’ultimo uomo.. E così via.
Innanzitutto diciamo che la violenza è sociologicamente ineliminabile. E l’odio è ciò che la sostiene e rafforza. Come ben sanno i polemologi (Sorokin, Bouthoul. Freund ad esempio), esisterà sempre una minoranza di violenti, ribelli, disadattati che rifiuta l’obbedienza ricorrendo alla violenza e alla "somministrazione" dell’odio. Il fenomeno è circolare, l”odio alimenta la violenza e viceversa. Talvolta le stesse élite del potere, parliamo dell' 1-2 per cento della popolazione, possono includere individui del genere.
In sintesi: dal momento che parliamo di fenomeni collettivi va sottolineato che si tratta di comportamenti che sembrano riguardare il 5 per cento della popolazione. Il dato base più eclatante è rappresentato dalle guerre civili, che di solito assorbono un 10 per cento della popolazione ( a fronte di un 90 per cento di soggetti passivi, inclusi i rinunciatari, diciamo ragionanti, per principio, calcolo o altro, e non solo per conformismo sociale o paura). Il 10 per cento include i violenti puri e la parte motivata alla violenza per ragioni politiche.
Con le guerre il tasso dei soggetti coinvolti aumenta, può giungere al 20, 30 per cento: non si tratta di individui, motivati alla violenza, ma più semplicemente di soggetti in stato costrittivo, per i quali l’esercizio della violenza non è spontaneo, come per il 5-10 della popolazione, ma adattivo, cioè vincolato al comportamento che ci si aspetta da uomo in uniforme.
Pertanto che abbiano sparato a Trump, per venire a un esempio recente, è perfettamente normale per così dire. Per i motivati alla violenza l’omicidio politico è un normale mezzo di risoluzione dei problemi.
Si può incoraggiare o scoraggiare la violenza politica? Sotto questo aspetto il liberalismo può essere definito un gigantesco quanto nobile tentativo storico, prima inconsapevole poi consapevole, di sostituzione del voto al fucile. O se preferisce del contratto alla depredazione.
Nonostante ciò nel Novecento si è verificata una esplosione di violenza. Si pensi alla violenza, addirittura teorizzata, verso i nemici di classe, di religione, di razza.
In parte è stata una risposta, quasi naturale, dei motivati alla violenza, di varia estrazione politica, al tentativo liberale di pacificare i rapporti umani, per l’altro dello sprezzante rifiuto di rientrare nei ranghi della modernità contrattuale.
Per rispondere alla domanda iniziale, oggi ci si odia perché si rifiuta la modernità pacificatrice e liberale. Stiamo nuovamente assistendo alla saldatura politico-sociale, tra una minoranza attiva di violenti di tutti i colori ideologici, annidati nella politica, nei social, nei mass media, e una maggioranza passiva che sembra non rendersi conto di quel che sta accadendo e che purtroppo, per quel conformismo, tipico della società di massa, si adatta ai tempi.
Si va sviluppando una tendenza, sempre più diffusa all’accettazione dell’ uso della violenza come strumento politico. Si rischia di tornare per così dire alla guerra di tutti contro tutti. Infatti, oltre al tradizionale campo della politica esterna, la violenza sembra prevalere anche in politica interna.
Si può fare qualcosa? Purtroppo non si tratta più di un fenomeno di disadattamento al 5 %, ma di una tendenza in crescita. Incoraggiata da una destra, ovunque in ascesa, che di liberale non ha nulla. In questo favorita anche da un sinistra che non ha mai cessato di essere antiliberale.
Insomma tutto congiura perché la violenza intorno a noi dilaghi. Del resto il predominio di leader come Trump, Putin, Xi Jinping e molti altri indica che il futuro non sarà roseo. Anche perché quel che resta della democrazia liberale, volente o nolente, non potrà non rispondere ai violenti, come già accaduto, per garantire la propria sopravvivenza.
Carlo Gambescia
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