L’ignoranza politica della sinistra
Non solo flussi elettorali…
L’andamento dei flussi elettorali spiega qualcosa ma non tutto. E sicuramente
l'approfondimento dei dati non è aiutato dal grossolano uso che ne fanno partiti,
mass media e social.
Tutto
ciò indica l’enorme distanza tra una
politica colta, fondata sulla mediazione
intelligente e una politica urlata, ignorante, che vuole vincere a ogni costo
puntando su slogan irriflessivi.
Un
esempio? Appena l’Istituto Cattaneo - attendibilissimo, per carità - ha
osservato che in Emilia il voto di due elettori su tre di Cinque Stelle è andato
al Partito democratico, Prodi, che pure
appartiene per età alla vecchia scuola della politica, ha subito parlato sconsideratamente di Alleanze
di centro-sinistra e di nuovo Ulivo…
Ora, il blocco riproposto
da Prodi, vent’anni dopo (come nel
romanzo di Dumas), non è assolutamente di
centro-sinistra ma di sinistra sinistra-centro. E per una semplice ragione: per recepire i desiderata dell’elettore di
Cinque stelle, statalista e giustizialista al cento per cento - cosa che tra l’altro sta già accadendo - il
Pd non potrà non spostarsi a sinistra, e di
molto. Sicché le forze di
centro (tra l'altro al momento ridotte a poca cosa), rischiano, una volta
imbarcate a sinistra, di fare solo sì con la testa, come quei cagnolini finti, un tempo in bella vista sui
lunotti delle auto.
Esiste
pure la questione della legge elettorale che, al di là della caccia al voto grillino, riguarda in particolare la governabilità. Una legge maggioritaria (anche mista)
punirebbe il Movimento Cinque Stelle oggi in caduta libera, trasformandolo in
socio, seppure aggressivo, di minoranza. Se proporzionale, invece lo
premierebbe, tramutandolo in partitino rissoso e arrogante, trasformando così l’auspicato governo di sinistra in una gabbia di matti.
Al
fondo della questione - il problema dei
problemi - resta però l’ introvabile
identità riformista del Partito Democratico. Cosa vuole fare da grande?
Tenere conto responsabilmente delle regole dell’economia di mercato? Oppure, continuare a puntare sull’assistenzialismo spendaccione?
Certo,
un partito di sinistra, in economia, non
può dire cose di destra, figurarsi in Italia, dove addirittura la destra, pur
di non perdere
elettori, dice - sempre in economia
- cose di sinistra.
Qui
però si tratta di sciogliere un nodo importante che la sinistra in particolare si è sempre guardata bene dall’ affrontare: il rifiuto storico dell’economia di mercato che risale ai tempi del socialismo
rivoluzionario e poi del frontismo social-comunista e persino del primo centrosinistra, quello degli anni Sessanta.
Si
tratta del rfiuto, per dirla ancora
più precisamente con l’economista
Giuseppe Palomba, dell’espansione
capitalistica e soprattutto delle sue regole, in particolare di una regola,
fondamentale: che lo stato, per un elementare principio di bilancio,
matematico-economico diciamo, non può e
non deve socializzare le perdite e privatizzare i profitti.
Qualche
esempio? I casi Alitalia, i cui dipendenti ormai sono stipendiati con decreti governativi; dell’ Ilva, dove si è veramente fatto il peggio per far scappare la cordata privata guidata da imprenditori
indiani. E da ultimo, la buffonata, che però potrebbe costare cara
ai contribuenti, del passaggio allo stato, via Cassa Depositi e Prestiti, della gestione della rete autostradale.
Su
questi punti una sinistra occidentale, socialdemocratica, non
pseudo-riformista, dovrebbe dire la
sua. Chiarire insomma che senza
espansione, come diceva Turati ai comunisti di Gramsci abbacinati dal
leninismo, si rischia di dividere solo
la triplice fame e la triplice miseria.
Lo
strabiliante progresso italiano degli
anni Cinquanta fu favorito dagli alti tassi di sviluppo e dall’apertura dei mercati, meravigliosamente
seguita alla tremenda autarchia fascista. Insomma, la torta “collettiva” (al
netto dei tributi, ma questa è un’altra brutta storia…), se proprio ci si
tiene, deve crescere, deve essere sempre più grande, altrimenti gli utili sociali da redistribuire
si riducono a loro volta.
Zingaretti
su questo tace, addirittura si atteggia
a ecologista presentando la “transizione ecologica” -
ammesso e non concesso che il
parolone abbia un senso scientifico - come
qualcosa di indolore
per il contribuente, una cosetta
così insomma…
Qual
è il lato tragico ( e per alcuni anche comico) della questione? Che Zingaretti, che ha il diploma di odontotecnico, e Prodi, che
invece è accademico, dicono la stessa
cosa.
Si chiama, come dicevano all’inizio,
ignoranza politica. Che prescinde dagli studi.
Carlo Gambescia