Guaidó, Sánchez,
Sassoli e il riflesso condizionato della sinistra
Juan Guaidó,
il presidente eletto dall’opposizione democratica, rischia la vita. Il suo rientro in patria, dopo il breve
viaggio europeo potrebbe essere molto rischioso.
Che dire? In
Europa si scende in piazza per andare in pensione a sessant’anni, mentre in Venezuela chi osa protestare, muore per mano degli squadroni della
morte di Nicólas Maduro, il dittatore nazional-comunista.
Semplifichiamo?
Diciamo che a semplificare per prima è
la sinistra europea. In particolare quella
populista e radicale che in modo
più o meno aperto sta dalla parte di Maduro.
Esemplare il caso spagnolo, dove Pedro Sánchez,
a capo di un governo neofrontista e per un quarto repubblicano (la Spagna è una monarchia),
non ha voluto ricevere Guaidó,
riconosciuto da sessanta paesi, delegando
all’incontro il Ministro degli esteri.
Stesso
discorso per il Parlamento europeo. Guaidó si è incontrato con il precedente
Presidente Antonio Tajani ma non con quello attuale, David Sassoli.
Parliamo di un ex giornalista di “Telekabul”
(soprannome del famigerato telegiornale pubblico di osservanza comunista), oggi uomo di punta del Partito democratico in
Europa. Tra l’altro a differenza della stampa spagnola, meno servile verso la sinistra, quella italiana ha
ignorato l'imboscamento di Sassoli.
Si
rifletta, però più in generale, su questo atteggiamento politico della sinistra
europea, tipicamente illiberale, sempre indulgente
con i dittatori correligionari. E che - quando si dice il caso - mostra di non stimare un
politico liberale come Macron, che
invece ha ricevuto con tutti gli onori Guaidó.
Purtroppo,
e non è questione di semplificazioni o meno, larga parte della sinistra, soprattutto
quella postcomunista (in realtà, criptocomunista, neppure tanto cripto, quanto
a statalismo), continua ad applicare due pesi due misure come durante la Guerra Fredda. Vecchie etichette che non sembrano morire mai: Guaidó è un mostro perché di destra e filoamericano,
Maduro, un santo, perché socialista e
antiamericano.
Sánchez
e Sassoli, punte di iceberg di un retro pensiero politico diffuso, riconoscono
ai dittatori di sinistra un surplus di innocenza e idealismo: se “sbagliano”, sbagliano a fin di bene, perché "difendono" presuntivamente l'uguaglianza. Mentre
un dittatore di destra è presuntivamente
colpevole, perché nemico dei "lavoratori",
senza alcuna attenuante.
In
realtà, nell’Occidente liberale tutti i
dittatori, rossi o neri, non dovrebbero godere di alcun passaporto di rispettabilità
politica. E invece perdura un brutale doppio registro politico, come ai tempi di Stalin.
Anzi oggi le cose vanno addirittura peggio. Perché ciò che è più grave è che il
comportamento di Sánchez e Sassoli non è neppure dettato dalla realpolitik che caratterizzava il vecchio "Koba" (soprannome di Stalin). Ma come sottolineato, è il portato storico di quell’accozzaglia di relitti ideologici rappresentata dal comunismo.
O meglio ancora: portato riflessologico. Perché siamo dinanzi a un specie di riflesso condizionato Come il famoso cane dell'esperimento pavloviano, appena si accende il lumicino del comunismo, Sánchez e Sassoli cominciano
a salivare… E non c'è più ragionamento che tenga. Purtroppo.
Carlo Gambescia