La pubblicazione de La nozione di autorità di Alexandre
Kojève, pensatore ricco di intuizioni e sfaccettature, merita un’attenzione
particolare. Perciò proponiamo due recensioni. La prima più analitica e di
taglio giuridico-politico scritta dall’amico Teodoro Klitsche de la Grange . La seconda, più
attenta alla ricaduta sociologica del suo pensiero, è invece opera nostra.
Buona lettura. (C.G.)
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Il libro della settimana: Alexandre Kojève, La nozione di autorità, Adelphi,
2011, pp. 143, Euro 29,00.
www.adelphi.it |
L’autorità tra stato, diritto e politica
di Teodoro Klitsche de la
Grange
Scrive Kojève nelle considerazioni preliminari: “É curioso,
ma il problema e la nozione di Autorità sono stati molto poco studiati. Ci si è
occupati soprattutto delle questioni relative alla trasmissione dell’Autorità e
alla sua genesi, ma raramente l’essenza di questo fenomeno ha attirato l’attenzione.
Eppure, in tutta evidenza, è impossibile trattare del potere politico e della
struttura stessa dello Stato senza sapere che cosa è l’Autorità in quanto tale.
Uno studio della nozione di Autorità, sebbene provvisorio, è quindi
indispensabile, e deve precedere qualsiasi studio del problema dello Stato”. In
questo seguiva de Bonald quando questi sosteneva, polemizzando con M.me de
Staël, che non è possibile trattare di politica (e dello Stato) prescindendo
dall’autorità.
Kojève inizia col fare un’analisi concettuale delle teorie dell’autorità,
distinguendo così quattro tipi “semplici” o “puri” (analoghi agli idealtipi
weberiani): la teoria teologica o teocratica, secondo la quale l’Autorità
primaria e assoluta appartiene a Dio, e tutte le altre ne derivano; la teoria
platonica, secondo cui l’Autorità si fonda sulla Giustizia; quella
aristotelica, secondo cui appartiene a chi ha il sapere e la capacità di
prevedere; infine quella di Hegel che la riduce al rapporto tra Signore e servo
(vincitore e vinto), basato sulla lotta, il rischio e il riconoscimento del
vincitore come autorità. Di queste, solo l’ultima – scrive Kojève “ha avuto
un’elaborazione filosofica completa, che si sviluppa sia sul piano della
descrizione fenomenologica sia su quello dell’analisi metafisica e ontologica.
le altre non hanno oltrepassato il livello della fenomenologia”.
Ciò non toglie che anche la teoria di Hegel non sia stata capita davvero e
subito sia stata dimenticata, al punto che anche “il più importante erede di
Hegel, Marx” ha trascurato completamente il problema.
Nota subito Kojève – e la distinzione ricorre in tutto il volumetto – che
esiste “anche una ‘teoria’ dell’Autorità che la considera soltanto una
manifestazione della forza. Ma vedremo in seguito che la Forza non ha nulla a che
vedere con l’Autorità, perché anzi le è esattamente opposta. Ridurre l’Autorità
alla Forza significa quindi semplicemente negare, o ignorare, l’esistenza della
prima. perciò fra le teorie dell’Autorità non annoveriamo questa opinione
errata”.
E in effetti ciò che distingue l’autorità dal (mero) potere è proprio fare
assegnamento, perché la propria volontà sia osservata nella comunità, di non
dover ricorrere alla coercizione, all’impiego della forza perché i comandi
siano eseguiti. Di comandare con successo (inteso in senso weberiano) senza i
mezzi coattivi (dalla fucilazione, al carcere, alle confische). Il che non vuol
dire che questi mezzi non debbano esistere: significa solo che un potere
autorevole vi fa ricorso in modo assai parsimonioso; uno non autorevole, con
dovizia. E ricorda da vicino la teoria di Donoso Cortès sullo Stato moderno:
che più perdeva autorità, più ha dovuto aumentare il potere (e i mezzi) di
coercizione.
Nell’ “analisi fenomenologica”, Kojève da la propria definizione generale
dell’autorità “Esiste Autorità soltanto là dove c’è movimento, cambiamento,
azione (reale o almeno possibile): si ha autorità solo su ciò che può
«reagire», cioè cambiare in funzione di ciò o di colui che rappresenta
l’Autorità (la «incarna», la realizza, la esercita). E, in tutta evidenza,
l’Autorità appartiene a chi opera il cambiamento, e non a chi lo subisce:
l’Autorità è essenzialmente attiva e non passiva”; per cui il supporto reale di
ogni autorità è un agente e che questo sia libero e cosciente; e ciò è
complementare alla definizione dell’atto autoritario, il quale si distingue da
“tutti gli altri per il fatto di non incontrare opposizione da parte di colui o
coloro ai quali è diretto, E questo presuppone, da un lato, la possibilità di
un’opposizione e, dall’altro, la rinuncia cosciente e volontaria alla
realizzazione di questa possibilità”. Ne consegue che “l’Autorità, quindi, è
necessariamente una relazione (fra agente e paziente): è un fenomeno
essenzialmente sociale (e non individuale); perché vi sia Autorità bisogna
essere almeno in due.
Quindi: l’Autorità è la possibilità che un agente ha di agire sugli altri (o su
un altro), senza che questi altri reagiscano nei suoi confronti, pur essendo in
grado di farlo”. Questa definizione evidenzia che il fenomeno dell’Autorità è
affine a quello del Diritto; tuttavia se ne distingue perché “nel caso
dell’Autorità, la «reazione» (l’opposizione) non esce mai dall’ambito della
possibilità pura (non si attualizza mai): la sua realizzazione distrugge l’Autorità.
Nel caso del Diritto, invece la «reazione» può attualizzarsi senza per questo
distruggere il Diritto”; da ciò “consegue che se, in linea di principio,
l’Autorità esclude la forza, il Diritto la implica e la presuppone, pur essendo
tutt’altra cosa rispetto alla forza (non vi è Diritto senza Tribunale, né
Tribunale senza Polizia...”. L’autorità è legale e legittima per definizione
“Colui che «riconosce» un’Autorità (e non c’è Autorità non «riconosciuta») ne
riconosce per ciò stesso la «legittimità». Negare la legittimità dell’Autorità
significa non riconoscerla, cioè – per ciò stesso – distruggerla. Si può quindi
negare, in un caso concreto, l’esistenza di un’Autorità; ma non si può opporre
alcun «Diritto» a un’Autorità reale (cioè «riconosciuta»)”.
La definizione di Autorità, sostiene l’autore, può essere accostata a quella
del Divino “è divino – per me – tutto ciò che può agire su di me senza che io
abbia la possibilità di reagire nei suoi confronti”; il che ricorda da presso
sia la teoria di Spinoza sull’onnipotenza divina (e sul rapporto con la
sovranità) sia la concezione esposta da Kant nella Metaphisik der Sitten di Dio
come essere che ha tutti i diritti (cioè è attivo in senso assoluto) e verso il
quale si hanno solo doveri. Anche se la definizione del Divino “differisce da
quella dell’Autorità: nel caso dell’azione divina, la reazione (umana) è
assolutamente impossibile; nel caso dell’azione autoritaria (umana), la
reazione è invece necessariamente possibile, e non esiste in ragione di una
rinuncia cosciente e volontaria a questa possibilità”; è connaturale quindi
all’Autorità umana sia il rischio (se non quello della conquista, almeno di
perderla, all’uopo basta che ci sia reazione al comando) sia la giustificazione
della sua esistenza. Per cui Kojève distingue i diversi tipi di autorità “puri”
e le loro combinazioni in concreto fondati sulla spiegazione del riconoscimento
dell’Autorità e delle ragioni d’essere della medesima. E’ anche interessante
come Kojève critica altre teorie dell’autorità, come quelle del contratto
sociale e del principio maggioritario, che affiancherebbero un altro/i tipo ai
quattro individuati dal filosofo “è quello che afferma la teoria del «contratto
sociale» (parlando in generale dell’Autorità sui generis che ha la Maggioranza sulla
Minoranza). Dobbiamo perciò vedere se questa teoria è esatta. (Se è esatta la
nostra è falsa. Se la nostra è vera, l’Autorità in questione deve poter essere
ridotta o a uno dei nostri tipi «puri», o a una qualsiasi delle loro
«combinazioni»)”.
Quanto alla concezione dell’autorità della maggioranza, questa si basa sulla
forza (tale o presunta) della quantità ed è quindi irriducibile alla
definizione di autorità (incompatibile con l’esercizio della forza o della
minaccia della forza).
Quella inversa, della minoranza sulla maggioranza, “non proviene mai dal fatto
che la Minoranza
è una Minoranza. La «giustificazione» (la «propaganda») è sempre del tipo:
«Sebbene non siamo che una minoranza, noi...». L’Autorità di cui si riveste una
Minoranza è «giustificata» o spiegata dalla «qualità» e non dalla quantità... E
l’analisi dei casi concreti mostra che la Minoranza si appella sempre all’Autorità o del
Padre, o del Capo, o del Signore, o del Giudice (oppure delle loro
«combinazioni»)” (e quindi è riducibile a quelle).
Un’analisi approfondita è dedicata da Kojève al problema della distinzione dei
poteri, alla sua relazione con l’Autorità (e ai di essa tipi); se l’Autorità
possa essere divisa e se e a quale tipo vadano ricondotte le istituzioni così
“separate” (e come). Il tema dell’Autorità è così la chiave per valutare la
forma – e la vitalità – del potere statale.
Chiudono il volume due appendici, scritte nel 1942. Nella prima l’autore si
dedica a un’analisi della natura dell’autorità del maresciallo Pétain, a capo
del governo collaborazionista di Vichy. Nella seconda propone una sorta di
progetto per la “Rivoluzione nazionale” francese”, allora. dibattuta, anche
perchè la legge costituzionale del 10 luglio 1940, aveva conferito il potere
costituente al governo.
Si conclude quindi con un’applicazione al caso concreto delle teorie
sull’autorità: un’occasione troppo interessante per il filosofo, dato il
carattere del tutto particolare e quasi esemplare, del “principato nuovo” che
sembrava si dovesse organizzare per la Francia , e del maresciallo Pétain, che
impersonava la nuova Autorità.
Dato l’impegno di Kojève nella resistenza francese, non sembra che il tutto
possa ridursi ad una sorta di captatio benevolentiae dei governanti di Vichy.
Soprattutto perchè l’indagine sul regime collaborazionista è coerente con le
idee di Kojève sull’autorità e non appare influenzata da opinioni (o occasioni)
politico-partitiche. E’, insomma, condotta sine ira ac studio. In conclusione,
come scrive il curatore nel breve saggio “Sebbene Kojève riconosca che, prima
di lui, molti altri pensatori hanno affrontato il tema, lamenta il fatto che
nessuno di essi abbia indagato in maniera approfondita e completa l’essenza del
fenomeno autoritario”; e, indubbiamente, le pagine di Kojève sono un valido
tentativo di colmare (in parte) la lacuna.
Teodoro Klitsche de la Grange
.
Teodoro Klitsche de la Grange è avvocato, giurista, direttore del trimestrale di
culturapolitica"Behemoth" ( http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi
libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato
(2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale
(2007), Dove va lo Stato? (2009)..
Chi dice autorità…
di Carlo Gambescia
-
Chissà, se fosse tra noi, cosa direbbe Alexandre Kojève della crisi
italiana… Che in fondo, e non da oggi, dipende da un deficit di credibilità
istituzionale. A questo pensavamo leggendo La nozione di autorità (Adelphi,
2011, pp. 144, euro 29,00). Un ghiotto testo scritto nel 1942 dal più
chirurgico e discusso interprete novecentesco di Hegel, Kojève appunto.
Filosofo e funzionario al tempo stesso. E non è un critica. Un « incarico»,
quest’ultimo, come ricorda il curatore Marco Filoni, «da lui brillantemente
ricoperto nell’amministrazione francese dal 1947 fino alla morte», avvenuta nel
1968 a
sessantasei anni. Il suo compito - prosegue - era quello di definire le
tattiche da adottare nelle negoziazioni economiche internazionali. Se gli
obiettivi erano stabiliti dall’Eliseo, i mezzi per raggiungerli erano affidati
alle argomentazioni e alle abili manovre del filosofo (…). Ben presto divenne
una sorta di “bestia nera” per i membri delle altre delegazioni. Specie per gli
americani che lo soprannominarono la “serpe nell’erba” ».
Riportiamo tutto questo, non per fare del puro colore, ma per mostrare come in
Kojève, l’attento studio dei problemi filosofici, politici e giuridici, nella
loro essenza (tecnicamente, si chiamava e chiama fenomenologia…), fosse sempre
strettamente collegato alla comprensione e “gestione” degli eventi storici. Parliamo,
insomma, non di un volgare burocrate delle idee, bensì di un filosofo prestato
alle istituzioni. O per dire meglio: un uomo che pur essendo del mondo (il
funzionario) non rinuncia a parlare al mondo (il filosofo).
Ad esempio, ne La nozione di autorità, scritto nella Francia del Maresciallo
Pétain, si fa seguire all’acuta dissezione del concetto, la sua applicazione
alla realtà storica. Di quale natura è l’autorità del Maresciallo? E con quali
modalità essa influisce sulla Rivoluzione nazionale? Ecco le domande cui Kojève
cerca di rispondere in un’ appendice che, per qualità esplicativa, vale
veramente l’intero e pur notevole libro.
Prima però occorre fare un passo indietro. Kojève distingue «quattro tipi
irriducibili di Autorità umana»: 1) di derivazione teologica ( il Dio-Padre
creatore della scolastica, quale causa di tutte le cose, da cui discende
l’autorità del padre di famiglia); 2) di derivazione hegeliana (l’autorità del
Signore, che accetta il rischio della battaglia per il riconoscimento, al contrario
di coloro, i futuri servi, che preferiscono non battersi per paura della
morte); 3) di derivazione aristotelica ( del Capo, che viene seguito perché
ritenuto superiore, in quando artefice di un progetto), 4) di derivazione
platonica (del giudice, portatore di un’ autorità che discende dalla sua
natura, pubblicamente riconosciuta, di uomo giusto).
Sono quattro tipologie, che possono combinarsi tra di loro, fino a un totale,
scrive Kojève, «che esaurisce tutte le possibilità», «di 64 tipi di autorità (4
puri e sessanta combinati, oppure 15 (4 puri e 11 combinati), se non si tiene
conto delle varianti» . Complicato? Addirittura macchinoso? Prima di qualsiasi
giudizio vediamo come Kojève, impiegandole, se la cava con Pétain.
L’autorità del Maresciallo, a suo avviso, cumulava quelle del Signore («il
vincitore di Verdun»), del Capo («Vi guido, seguitemi»), del Giudice ( l’
«onesto», «l’imparziale», «Ho donato la mia persona alla Francia»), del Padre (
quel suo «atteggiamento paterno», così amato dai francesi). Cosicché «nel 1940
c’è stata una genesi spontanea (“non manifestata da un voto di fiducia”) di
Autorità politica totale, perché il Maresciallo funge da “supporto”
(individuale) a tutti e quattro i tipi “puri” di Autorità (sotto una forma
politica) » . Dopo di che però - Kojève, ricordiamolo, scrive nel 1942 - Pétain
perde l’autorità del Signore (la guerra è comunque persa…), ma mantiene quelle
del Padre, del Giudice, del Capo. Tuttavia, ecco il punto, «si può anche dire
che allo stato attuale l’Autorità del Maresciallo rappresenta un ideale
politico, Ma ogni ideale svanisce se non si realizza, o se almeno non si tenta
di realizzarlo. Ora, un ideale in via di realizzazione si chiama idea; si
intende: idea concreta e costruttiva che, generando l’azione, trasforma il dato
in funzione dell’ideale ( e quest’ultimo, in conseguenza della sua
realizzazione, si trasforma tanto quanto il dato). Bisogna quindi che il
Maresciallo smetta di essere un ideale per diventare un’idea politica. Il che
significa che deve formulare e mettere in atto un programma di Rivoluzione
nazionale» .
Un progetto politico che però mai decollerà, per ragioni esterne (i progressivi
successi militari degli alleati) e interne ( l’umiliante peso delle
intromissioni tedesche). E probabilmente Kojève, già all’epoca attivo nella
Resistenza, ne era consapevole. Eppure - o forse proprio per questo - da bravo
“chirurgo” delle idee tagliava, asportava e ricuciva. Forte, probabilmente, di
una grande consapevolezza: il male anche se lo si demonizza, fino al punto di
non nominarlo, resta tale. Di qui - crediamo - l’importanza da lui attribuita
alla “chirurgia” filosofica a tutto campo. Insomma, siamo davanti a un’analisi
estremamente ricca ed elegante. Altro che macchinosità concettuale… Perciò che
senso ha definire disdicevole l’ interesse di Kojève per il Maresciallo? Qui
siamo d’accordo con Marco Filoni (che riprende la tesi di Danilo Scholz): «Con
il testo sulla nozione di autorità, Kojève avrebbe iniziato ad abbozzare la
concettualizzazione di una politica dello Stato Francese. Che passava non
soltanto per la Resistenza ,
ma anche per il regime di Vichy» . Nel “chirurgo”, pardon, fenomenologo della
politica, pulsava già il cuore del funzionario filosoficamente attento ai
destini ultimi della Repubblica francese.
A proposito, per ritornare, concludendo, alla crisi italiana, l’ autorità di
Berlusconi a quale tipologia potrebbe appartenere? Escludiamo il Padre e il
Giudice… Forse il Signore, o più semplicemente il Capo: “Vi guido, seguitemi”.
Benché ultimamente, proprio all’interno del suo partito, sembra che non tutti
siano disposti ad ascoltarlo…
Carlo Gambescia
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