Il ghiotto
post dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange smitizza, con una causticità degna del
grande Pareto, l'operato dei "tecnici" imposti da Napolitano: quei
professori e banchieri che da circa un mese governano l'Italia con apparente
fare notarile. Apparente...Buona lettura.(C.G.)
.
.Come far scendere i governi tecnici dal piedistallo
Dopo le prime “misure” del Governo Monti è possibile trarre
qualche lezione – sottoposta ovviamente a future smentite dei fatti – sul
gabinetto “tecnico”.
La prima: che ai tecnici – non si sa se sia un bene o un male, o piuttosto un
misto tra i due – manca la fantasia. Anzi sono per questo il perfetto anti-68:
non solo perché insegnanti e non studenti, ma perché d’immaginazione, di
novità, nelle proposte del governo non se ne vede punto. Anzi ricordano gli
analoghi provvedimenti dei governi “balneari” di “decantazione” di “tregua”,
“istituzionali” e quant’altro partorito dal lessico politico della prima
repubblica; tutti connotati non tanto dalla presenza di “tecnici” (all’epoca
occasionale e comunque non sbandierata) ma dalla necessità di una tregua tra
partiti (che in regime partitocratico è, se non la sospensione, la parentesi
della partitocrazia), e di un defilarsi degli stessi. Dal palcoscenico della
politica questi si trasferivano nel golfo mistico, dove chi suona la musica è visibile
(tranne il direttore) solo a metà.
Ed è certo che per aumentare l’imposizione sugli immobili, l’IRPEF sui redditi
più elevati, la tassa sulle auto di lusso (un tempo denominata super-bollo) e
le barche da diporto e (che sorpresa!) le accise sulla benzina, non erano
necessari dei gran professori: bastava un qualsiasi politico della prima
repubblica come i compianti Rumor o Leone o (anche) della seconda come (il non
a caso prof.) Prodi. Qua d’ “immaginazione” non c’è niente: è tutto un déja-vu,
un copia/incolla che ricorda vagamente le pubblicazioni per i concorsi a
cattedra. Dato il conformismo diffuso nell’università italiana (e non solo) il
tutto non sorprende. Sorprende invece che qualcuno potesse aspettarsi qualcosa
di diverso. Ciò conferma che i professori non sono andati al governo per il
motivo (in positivo) di detenere la ricetta per superare la crisi, ma per
quello negativo, che nessuna forza politica aveva il coraggio di far digerire
all’elettorato tali dolorose ovvietà, e pagarne poi il prezzo elettorale. Che
gli insegnanti al governo non devono saldare perché non sono eletti.
Tuttavia dovremo ringraziare il prof. Monti e colleghi se riuscirà, come
propone, a far alzare il limite dell’età pensionabile: che come riforma non è
né di destra né di sinistra, perché, come tutti sanno, dipende dallo
straordinario aumento della vita media nel XX secolo.
Onde non si può chiedere a nessuno, e neanche allo Stato-provvidenza (??) di
mantenere per trenta-quarant’anni dei cinquantenni in buona salute che di anni
ne hanno lavorati si e no trenta; tanto meno di sacrificare necessità più
urgenti e sentite agli idola di una sinistra che considera le pensioni il
surrogato della società senza classi, invano attesa – dove il comunismo si era
realizzato - da un paio di generazioni. Prima e dopo l’implosione del quale la
sinistra decideva d’impadronirsi di una conquista – che comunque rimane tale -
dovuta assai più a Bismarck, a Bernstein, alla socialdemocrazia e alla destra
“sociale” che a Marx e a Lenin. Ma in mancanza d’idee (quelle antiche sono
improponibili per rigetto della storia) si attacca a quello che può: come donna
Prassede di idee ne ha poche, ma a quelle è affezionata al pari del personaggio
manzoniano. Il fatto di far inghiottire all’elettorato di sinistra la
(necessaria) riforma, indorando la pillola con la scusa di togliere il potere
all’arcinemico Berlusconi (con che una sconfitta sociale diviene un successo
politico) è un piccolo capolavoro (anche se anch’esso non nuovo) di
illusionismo politico-mediatico e per realizzare una riforma necessaria.
La seconda: coerentemente al carattere “tecnico”: il governo non ha indicato
valutazioni politiche di quello che sia successo e su chi dobbiamo ringraziare
e perché in Italia (e altrove) l’’impatto della “crisi” sia stato superiore che
altrove. Tutte tali domande non hanno risposte “tecniche” né prevalentemente
tali: sono interrogativi politici. Se si sia trattato (come probabile) di una
manovra anti-euro, chi l’abbia progettata ed eseguita, e se l’obiettivo fosse
(anche) il governo Berlusconi, e se accanto vi sia il disegno di porre l’Italia
sotto tutela (più di quanto già non lo sia dal 1945), se vi siano forze interne
corrive a tale progetto (e sopratutto quali : quelle non-visibili sono più
pericolose delle visibili); se sia sufficiente alzare imposte e allungare l’età
lavorativa per superare la crisi e così via interrogando.
Di tutte tali questioni ne voglio ricordare due.
La prima, che vado ripetendo da tempo, è che l’ostilità politica (il nemico) in
una società globale terrorizzata dalla guerra, assume forme (e compie atti) che
non sono riconducibili alla guerra “classica”, ma ne ottengono effetti più o
meno uguali. I due famosi colonnelli cinesi che previdero l’attacco alle due
Torri qualificarono come nuova “forma di guerra” la speculazione organizzata da
Soros a danno dell’Asia orientale. Probabilmente anche noi italiani abbiamo un
Soros da ringraziare; cioè un nemico che ha letto con profitto Sun-tzu e sa
bene che il nemico è tanto più pericoloso quanto più riesce a non farsi
riconoscere come tale, coniugando così alle capacità offensive
l’invulnerabilità difensiva (magari con l’aiuto della “legalità”). Qua siamo al
massimo dell’occultamento del nemico; non solo non si capisce dove sta e quando
colpirà, ma neppure se esiste. Ma non aspettiamoci che ce lo indichi un governo
alle prese con conti e partita doppia.
La seconda: se è vero quanto sosteneva Mortati dell’importanza della funzione
d’”indirizzo politico”, nell’organizzazione e funzionamento dello Stato, non si
capisce quanto la possa esercitare un governo qualificato come opposto alla
politica. Se fossi un utopista alla Saint-Simon o un seguace di Guglielmo
Giannini sarei propenso a credere che a governare bastino i tecnici e persino i
ragionieri. Ma finché si pensa che lo Stato sia, com’è, un ente politico, e che
la politica possa essere non totalizzante, ma sicuramente primaria e
insuperabile, le soluzioni non possono essere che due: o l’indirizzo politico è
comunque assicurato dal governo tecnico, con la conseguenza che non è tecnico,
o quanto meno lo è molto meno di quanto si voglia far credere in giro; oppure
che la repubblica italiana è (probabilmente) l’unico Stato, nominalmente
sovrano, che ha un governo che non da un indirizzo politico, malgrado questo
sia connaturale allo Stato, più ancora che prescritto dall’art. 95 della
costituzione (formale) vigente.
Tra le due soluzioni, la più realistica e meno pericolosa è ovviamente la
prima, anche se ipocrita.
E tutto sommato è meno peggio così.
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Teodoro Klitsche de la Grange è avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura
politica "Behemoth" ( http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il
Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno
dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).
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