Ricordo di Walter Maturi
Storico di un Risorgimento vero,
non
immaginario
Peccato - veramente peccato - che invece nessuno abbia pensato (Einaudi per primo) di ripubblicare quel gioiello storiografico delle Interpretazioni del Risorgimento. Lezioni di storia della storiografia, uscito per la prima volta nel 1962 nell' importantissima Biblioteca di cultura storica. Un grande libro (anche in senso letterale, 800 pagine…) in cui vennero raccolte, a cura di Ernesto Sestan, Rosario Romeo e altri allievi, le lezioni universitarie (1945-1960), tenute da Walter Maturi, scomparso nel 1961 non ancora sessantenne (*).
Parliamo di un eccellente storico liberale, attento però al politico e alle
dure repliche della storia (sue molte voci del famoso Dizionario di Politica a
cura del Pnf). Tuttavia, per semplificare, si tratta di una figura più vicina
alla lezione di Croce che a quella Mussolini… Uno storico comunque aperto alle
influenze più varie: da Gentile (con il quale conseguì una seconda laurea in
filosofia) a Schipa, Volpe e Salvemini. Per una sintesi della sua opera
rinviamo al bel ritratto di Giuseppe Galasso (Storici italiani del Novecento,
il Mulino 2008, pp. 135-189).
Il libro di Maturi spazia da Le Rivoluzioni d’Italia (1769-1770) di Carlo
Denina, dove si preconizza la prossima rinascita politica, alla Storia d’Italia
dal 1861 al 1958 di Denis Mack Smith: storico britannico, come è noto, assai
critico verso l’ Italia post-Risorgimentale. Che da Maturi viene però
argutamente punito, come qui: « Una carica a fondo il Mack Smith fa contro le
imprese coloniali dell’Italia. Fatto il bilancio storico di tali imprese,
possiamo dire che all’Africa abbiamo dato più che preso. Sarebbe stato meglio
che i denari spesi in Africa fossero stati spesi per le zone arretrate del
nostro paese (Basilicata, Calabria, Sardegna, ecc.). Tuttavia le prediche
all’astinenza coloniale fatte da un inglese, sia pure retrospettivamente, hanno
la stessa efficacia che le prediche all’astinenza dai cibi e dai vini prelibati
fatte da quei frati belli e grassi, col naso rosso, di cui narravano le gesta
piacevolmente i nostri novellieri del Trecento e del Cinquecento» (p. 691).
Non male, soprattutto se si pensa alla malevola scomunica - Maturi era però già
scomparso da un pezzo - abbattutasi sulle spalle di Renzo De Felice, proprio ad
opera di Denis Mack Smith. Il quale accusò De Felice, subito seguito a ruota
dalla storiografia di sinistra, di avere riabilitato la buonanima del Cavalier
Benito Mussolini.
Perciò un volume come Interpretazioni del Risorgimento andrebbe ristampato e
riletto, soltanto per l’aria di libertà e indipendenza storiografica che vi si
respira. La stessa che si può ritrovare nell’ opera storica del grande Renzo De
Felice.
E qui va fatta un’osservazione più generale. Esistono, da sempre, due modi di
fare storiografia: o ricostruire le cose come sono andate o processare gli
eventi in chiave ideologica.
Purtroppo, dalla seconda impostazione, di regola, nasce la retorica della
rivoluzione tradita. Che, attenzione, non parte mai dall’analisi delle
condizioni di fatto, ma da quella delle (presunte) condizioni ideali. Ad
esempio, secondo le famose tesi di Gramsci sul Risorgimento italiano, a suo tempo
“smontate” da Rosario Romeo, e prima ancora da Walter Maturi, l’Italia
(rivoluzione mancata) avrebbe dovuto fare come la Francia (rivoluzione
riuscita) del 1793 (il ’93 giacobino non l’89 monarchico-costituzionale…).
Salvo poi però incappare in qualche Napoleone italico: conseguenza, su cui
Gramsci aveva amabilmente glissato. Del resto, da buon comunista gli piacevano
le maniere forti di Lenin…
E qui cade l’asino, perché in Italia i seguaci dell’idea del Risorgimento
tradito (sorvolando sulle loro buone o cattive intenzioni) sono sempre stati o
fascisti o comunisti, con il piccolo complemento storico di quei confusionari
dei liberalsocialisti, a partire da Gobetti, un liberale rosso acceso quasi
sconfinante nella falce e martello, cui si deve il copyright dell’unificazione
italiana senza eroi.
In realtà, il vero punto dell’intera questione è che fascisti, comunisti e
perfino liberalsocialisti (si pensi alla pesante pedagogia politica
giacobino-azionista ) con la scusa della retorica della rivoluzione tradita del
Diciannovesimo secolo, hanno puntato nel Ventesimo sull’autoritarismo politico,
anzi, totalitarismo nel “caso comunista”. Perché gli italiani, come allora si
riteneva, avevano bisogno, per trasformarsi in uomini nuovi, di un pesante
busto di gesso politico.
Il buon Augusto Del Noce - e prima di lui Noventa - asserì, più di quarant’anni
fa, che per tornare a respirare politicamente ci si doveva liberare della
mentalità fascista e antifascista. Dal momento che, a suo avviso, l’aspetto più
pericoloso della mentalità antista (anti-questo, anti-quello…) era di criticare
il Risorgimento-di-fatto in nome di un Risorgimento-ideologico (o inventato).
Insomma, di criticare il fatto ( le cose come erano andate...) in base alla
norma ideale (come invece dovevano andare...). Per poter così forgiare, come
accennato, il famigerato “Italiano Nuovo”. Altra ragione, perciò, per rileggere Walter Maturi: storico di un Risorgimento
vero, non immaginario.
Carlo Gambescia
(*) Qui il ricco Indice del libro : http://www.biblioitalia.it/scheda-libro/?id=739&codlib=1
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