Il libro della settimana: Joseph Schumpeter,
Passato e futuro delle scienze sociali, Liberilibri, pp. XXX-130, Euro 16,00.
http://www.liberilibri.it/joseph-a.-schumpeter/175-passato-e-futuro-delle-scienze-sociali.html |
Probabilmente l’aforisma più impietoso sugli economisti è di Joseph Schumpeter : « Prendete un pappagallo, insegnategli a dire “offerta e domanda” e avrete un’economista ». Per inciso, non si capisce perché nessuno finora abbia raccolto in volume i suoi aforismi, conservati nei diari e in leggendarie striscioline di carta. Per una scelta (?) si veda in appendice alla ghiotta biografia di Richard Swedberg.
Qui però desideriamo parlare non dei “pizzini” di Schumpeter ma di lui prima
persona, e in particolare di un suo lavoro uscito nel 1915, finalmente
disponibile in versione italiana: Passato e futuro delle scienze sociali
(Liberilibri, pp. XXX-130, euro 16,00), ottimamente curato e tradotto da
Adelino Zanini, già autore, come si dice in gergo accademico, di alcune
pregevoli monografie sull’autore di Capitalism, Socialism and Democracy, solo
per citare l’ opera forse più popolare dell’economista austriaco.
Perché, nonostante il poco invitante titolo accademico (Passato e futuro,
eccetera) il volume merita di essere letto? Alcune ragioni scientifiche sono
brillantemente messe in luce da Zanini nell’Introduzione, come a proposito
degli elementi di continuità-discontinuità tra il saggio e le ricerche
precedenti e successive. Ma c’è ne un’altra, decisiva. Quale? Il «liberalismo
metodologico» di Schumpeter, per riprendere un espressione di Alessandro
Roncaglia. Un taglio analitico, già percepibile in questo studio. Si tratta di
una scelta di fondo che fa dell’economista austriaco, capace muoversi su piani diversi
(storia, economia, letteratura, scienza), un anticipatore di molti dibattiti
contemporanei sulle contaminazioni tra i saperi. Ma, su questo punto, lasciamo
la parola a Schumpeter: «Se la scienza sociale fosse un tutto organico, le cui
singole parti si inserissero in un unico piano, allora il nostro compito
sarebbe più agevole di quanto esso non sia, il compito di mostrare cioè come
l’operare odierno delle scienze sociali stia in relazione con quello di ieri e
dove, nel prossimo futuro, possa probabilmente condurre il sentiero. Ma la
scienza sociale è così poco una “architettura” del tutto, così come poco lo è
la scienza nel suo insieme. È piuttosto un conglomerato di singoli elementi,
che spesso si adattano molto poco gli uni agli altri, messi insieme da
individui con differente talento e diverse intenzioni, che difficilmente si
comprendono reciprocamente e mai interagiscono in modo pianificato». Ciò
significa che « una disciplina si sviluppa, qui, sulla base di un’esigenza
pratica, là poggiando sull’intuizione di uno spirito guida; in un caso, il
metodo era o divenne così difficile che a coloro che volevano farlo proprio non
rimase alcuna forza residua, nell’altro si sviluppò una disciplina a partire
dalle prosaiche necessità dell’insegnamento. Il risultato è una bella
confusione di forme spesso peculiari, in cui tutto scorre e si intreccia, in
cui lo stesso problema è spesso l’oggetto di diverse discipline, che procedono
da diversi punti di vista, per i quali sono vere cose diverse, e che si
confrontano quasi solamente per combattersi».
Un contrasto così esplicito, da rappresentare il sale stesso della ricerca
scientifica. Ne consegue una metodologia liberale, capace appunto di rinunciare
a regole e divisioni rigide: «Perciò - prosegue Schumpeter - il tentativo di
stabilire una regola e un ordine in questo caos falliscono; essi, di volta in
volta, sono intrapresi sul versante filosofico e, principalmente per questo, il
più delle volte, le linee di distinzione tra scienze sono atte a soddisfare le
singole discipline - una qualificazione a doppio taglio! E quindi, in linea di
principio, non c’è una scienza sociale, ma solamente le scienze sociali, i cui
confini si intrecciano in modo molteplice» .
Tuttavia, il «liberalismo metodologico», in realtà anche per Schumpeter
(implicazione sfuggita a Roncaglia), del tutto libero non è. Infatti,
l’economista austriaco per giustificare il suo disordine-ordinato, invoca
l’intervento, malgrado la denomini « logica delle cose», di una mano invisibile
che regolerebbe il divenire delle scienze sociali, e più in generale l’agire
umano: esiste, infatti, rileva Schumpeter, «una forza ineluttabile, che
costringe i ricercatori nei loro ranghi e crea una linea di sviluppo come
fenomeno reale , di certo non retta, ma alla fine comunque uniforme »: una «
logica delle cose» che pare essere indipendente dal volere individuale e di
gruppo (…). Di qui il paradosso (…) quanto meno conseguente appare un programma
unitario di lavoro, tanto più conseguente si presenterà lo sviluppo che raffigura
il panorama retrospettivo di lungo periodo (…) . Alla fine, ognuno, dopo che si
sono esaurite le esagerazioni (…) si inserisce ad un certo punto
nell’esistente».
Insomma, come giustamente nota anche Zanini, libertà sì, ma con giudizio, Per
farla breve, secondo Schumpeter, al massimo della libertà, una volta in cima,
si sostituisce il massimo del conformismo, e così via, a cicli alterni, lungo
una sorta di accidentata orografia politica e sociologica. Come pare imporre la
logica o mano invisibile delle cose umane. Ma per andare dove? Il pessimismo di
Schumpeter è noto. Per lui la mano invisibile non sempre tende al bene. Mentre
per gli economisti-pappagalli, vale tuttora il contrario.
Certo, anche nell’economista austriaco sempre di mano invisibile si parla. Ma
senza happy end . Il che di questi tempi non è poco. Perciò, bentornato
professor Schumpeter! Finalmente, fra tanti pappagalli, una vera aquila.
Carlo Gambescia
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