(Meta) political comics
Il borghese piccolo piccolo?
In estinzione
Se i colletti blu (gli operai) sono da un pezzo a letto
con la febbre alta, i colletti bianchi (gli impiegati) hanno il naso chiuso, la
tosse e il mal di testa. Si tratta di un’epidemia seria, alle stregua di quelle
medievali, che rischia di colpire i ceti medi, dopo quelli operai. Ha i nomi
più diversi: disoccupazione tecnologica, lavoro flessibile, concorrenza cinese,
liberalizzazioni, pensioni da fame, euro.
E per il momento sembra che nessuno abbia ancora scoperto il vaccino…
In primo luogo, perché si naviga a vista: non si va oltre l’idea del welfare come puntello ( o pronto soccorso…) del libero mercato. Ma per puntellare servono i soldi. E perciò bisogna produrre di più. E qui cade l’asino, come dicevano i nostri nonni: per far questo è necessario abbassare i costi, riducendo occupazione e stipendi (già bassi, o decimati dall’euro), magari ricorrendo alle nuove tecnologie “tagliaposti” di lavoro. Di conseguenza, in questo gioco dell’oca, ma sulla pelle dei lavoratori, che piace tanto ai professori del Corriere della Sera, il popolo dei ceti medi rischia di ritornare sempre alla casella di partenza, in compagnia degli ex operai. I quali sono tutti lì da un pezzo. E con le ossa rotte. Ma pronti a spiegare ai nuovi arrivati (ex insegnanti, ex impiegati cinquantenni, ex piccoli professionisti, eccetera) che il capitalismo gioca coi dadi truccati.
In secondo luogo, va pure ricordata, la ciclica disaffezione per la politica del colletto bianco. Che si lamenta, spesso a ragione, ma che poi rifiuta (perché la politica "è un cosa sporca") di andare oltre e scoprire i legami tra la propria situazione e quella politica generale . Rinunciando così a qualsiasi possibilità di mutare le cose (va anche detto, a discolpa del colletto bianco, che su piazza, di politici in gamba, oggi come oggi, se ne vedono pochi…). Tuttavia è pure noto che i ceti medi non hanno mai brillato per tempismo politico: dal sogno della “mille lire al mese”, quando stava per scatenarsi il finimondo, a quello della lavastoviglie, mentre fuori infuriavano gli “anni di piombo”, fino al salottiero “dove vai in vacanza?” ai tempi di Tangentopoli.
Il bello (o il brutto) è che nessuno oggi abbia il coraggio di dire al “borghese piccolo piccolo” che forse Marx aveva ragione. Per i “colletti bianchi” potrebbe andare sempre peggio. I processi di concentrazione della ricchezza e di trasformazione tecnologica, in atto, rischiano infatti di dividere la società in due uniche classi: da un lato, ultraricchi, ricchi, quadri dirigenti e servitù (camerieri, cuochi, vigilantes, eccetera): dall’altro, proletari, sfruttati nei lavori servili o flessibili, e sottoproletari sospesi tra miseria e crimine. Non avverrà domani mattina. Ma siamo sulla buona strada per farcela nel giro di un paio di generazioni…
E i ceti medi? In piccola parte potrebbero essere cooptati nei quadri dirigenti, e, per il resto, andare a ingrossare le schiere del proletariato postmoderno. Altro che soldi, lavastoviglie e seconda casa in multiproprietà per le vacanze.
E per il momento sembra che nessuno abbia ancora scoperto il vaccino…
In primo luogo, perché si naviga a vista: non si va oltre l’idea del welfare come puntello ( o pronto soccorso…) del libero mercato. Ma per puntellare servono i soldi. E perciò bisogna produrre di più. E qui cade l’asino, come dicevano i nostri nonni: per far questo è necessario abbassare i costi, riducendo occupazione e stipendi (già bassi, o decimati dall’euro), magari ricorrendo alle nuove tecnologie “tagliaposti” di lavoro. Di conseguenza, in questo gioco dell’oca, ma sulla pelle dei lavoratori, che piace tanto ai professori del Corriere della Sera, il popolo dei ceti medi rischia di ritornare sempre alla casella di partenza, in compagnia degli ex operai. I quali sono tutti lì da un pezzo. E con le ossa rotte. Ma pronti a spiegare ai nuovi arrivati (ex insegnanti, ex impiegati cinquantenni, ex piccoli professionisti, eccetera) che il capitalismo gioca coi dadi truccati.
In secondo luogo, va pure ricordata, la ciclica disaffezione per la politica del colletto bianco. Che si lamenta, spesso a ragione, ma che poi rifiuta (perché la politica "è un cosa sporca") di andare oltre e scoprire i legami tra la propria situazione e quella politica generale . Rinunciando così a qualsiasi possibilità di mutare le cose (va anche detto, a discolpa del colletto bianco, che su piazza, di politici in gamba, oggi come oggi, se ne vedono pochi…). Tuttavia è pure noto che i ceti medi non hanno mai brillato per tempismo politico: dal sogno della “mille lire al mese”, quando stava per scatenarsi il finimondo, a quello della lavastoviglie, mentre fuori infuriavano gli “anni di piombo”, fino al salottiero “dove vai in vacanza?” ai tempi di Tangentopoli.
Il bello (o il brutto) è che nessuno oggi abbia il coraggio di dire al “borghese piccolo piccolo” che forse Marx aveva ragione. Per i “colletti bianchi” potrebbe andare sempre peggio. I processi di concentrazione della ricchezza e di trasformazione tecnologica, in atto, rischiano infatti di dividere la società in due uniche classi: da un lato, ultraricchi, ricchi, quadri dirigenti e servitù (camerieri, cuochi, vigilantes, eccetera): dall’altro, proletari, sfruttati nei lavori servili o flessibili, e sottoproletari sospesi tra miseria e crimine. Non avverrà domani mattina. Ma siamo sulla buona strada per farcela nel giro di un paio di generazioni…
E i ceti medi? In piccola parte potrebbero essere cooptati nei quadri dirigenti, e, per il resto, andare a ingrossare le schiere del proletariato postmoderno. Altro che soldi, lavastoviglie e seconda casa in multiproprietà per le vacanze.
Carlo Gambescia
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