martedì 30 gennaio 2007


Analisi
La censura?  
Un brutto vizio



Quando si legge delle disavventure distributive che colpiscono certi film “politici”, non ci si deve stupire più di tanto. E qui si pensi a quelle subite, due anni fa da un film come quello di Michael Moore, Fahrenheit 9/11 : un vero e proprio atto di accusa contro Bush. Certo, le nostre sono società formalmente democratiche, ma ciò non significa che non possano essere distinte, come ogni altro gruppo sociale (storico o meno), da una pratica antica come l’uomo, quella della censura.
Ma iniziamo dal significato del termine.
La censura è una forma di controllo sociale, basata sul principio, secondo cui, determinate idee, opinioni, informazioni possono minare l’ordine costituito (morale, religioso, politico, eccetera). Ogni epoca ha avuto le sue vittime. E in ogni società la censura ha sempre trovato numerosi amici e nemici. I primi di solito tra i governanti e i secondi tra i governati. Un esempio classico è quello del conflitto tra paganesimo e cristianesimo. Prima di Costantino ( e a più riprese) i cristiani avevano subito ogni tipo di vessazione. Con la parificazione giuridica (chiamiamola così) tra cristiani e pagani, voluta dallo stesso imperatore, si ebbe un periodo di tregua e tolleranza, Ma appena il cristianesimo divenne religione ufficiale ricominciarono le persecuzioni, ma questa volta, contro pagani ed eretici. Sia chiaro, non intendiamo dare alcun giudizio morale (pro o contro i contenuti ideologici delle persecuzioni): ci limitiamo a osservarle e descriverle, come un geologo marino, deve osservare e descrivere il flusso e il riflusso delle maree.
Questo, per dire, che dove vi è società, purtroppo, vi è anche censura, Il bisogno di ordine, o comunque di stabilità, insito in ogni gruppo sociale ( a prescindere dal suo credo, e da quello di chi scrive), implica il conformismo, imposto dall’alto, magari con la forza, o accettato in basso per convenienza, fede o persuasione razionale. Ovviamente, come in ogni fenomeno sociale, vi è un minimo e massimo di durata, estensione e tollerabilità da parte dei singoli. Ad esempio, la Chiesa Cattolica della seconda metà del XX secolo (malgrado molti sostengano il contrario) è molto più “liberale” di quella della prima metà del XII secolo (tralasciando l’aspetto della sua creatività teologica, massimo in quell’epoca). E in questo senso ha subito (almeno per alcuni) un’evoluzione positiva. Il totalitarismo sovietico, con i suoi apparati costrittivi è durato poco più di settant’anni. Insomma, oltre certi limiti di umana sopportazione non è possibile andare: stabilità e conformismo devono perciò venire a patti con il libero giudizio dell’individuo. Altrimenti invece dell’ordine si crea il disordine, e si finisce per favorire il declino culturale, sociale ed economico.
Da questo punto di vista la società moderna presenta alcune caratteristiche particolari. Innanzitutto, delle tre forme tipiche di censura (politica, morale-sociale e religiosa) ha conservato quella politica. Viviamo in una società che celebra la massima libertà individuale di costumi e consumi. La censura si è perciò secolarizzata: si possono seguire le pratiche sessuali e di acquisto più eccentriche. Ma, attenzione, non si possono porre domande che mettano in discussione il “sistema” in quanto tale, come appunto, faceva Michael Moore, a suo tempo, attaccando Bush e il suo gruppo di potere. Inoltre, la censura si è fatta più capillare, sottile e complessa. Soprattutto attraverso l'opera dei media, sempre rivolti a celebrare i valori del consumo di ogni tipo di merce (anche umana) e del profitto. Si cerca di creare abitudini tali, da rendere impossibile, o poco praticabile, ogni forma alternativa di valori, pensiero e comportamento. A ciò si aggiunge una “compattezza” di interessi economici, sulle due sponde dell’Atlantico, che non ha eguali nella storia dell’Occidente. Guai perciò a parlare male, della globalizzazione e dell’imperialismo Usa, come appunto cerca di fare, tra mille difficoltà, certa cinematografia indipendente. Perché si viene subito isolati e attaccati dai cosiddetti poteri forti dell’economia (in questo caso le major hollywoodiane). E, purtroppo, siamo giunto al punto, che non si accettano più, neppure sottili (sì, sottili, perché è necessario andare oltre le immagini forti) indagini sul potere, come quella di Mel Gibson (si veda il post dell'11 gennaio 2007)
Quali conclusioni?
Come abbiamo già sottolineato, esistono limiti, oltre i quali la censura, anche quella dei “moderni”, non può spingersi, pena la sopravvivenza stessa del gruppo dirigente che la pratica e dei governanti che la subiscono. Generalmente quando la censura si fa più severa, soprattutto in politica, come nel mondo tardo ellenistico, o tardo imperiale romano, significa che il “sistema", pur espandendosi o consolidandosi economicamente, è entrato in una fase di transizione (che può anche preludere alla dissoluzione, ragionando però per secoli…). Ma non è detto che sia sempre così. Ad esempio, oggi siamo appena all’inizio di una nuova fase di sviluppo imperiale. Indubbiamente, la nostra società ha risorse tecnologiche e militari sconosciute agli antichi. Ma tecnica e forza pura (applicata), da sole non bastano Come prova l’interesse mondiale suscitato, a suo tempo, dai film di Moore.
Ciò però non significa che anche coloro che oggi sono dalla parte di Moore, o se si vuole i critici della “globalizzazione”, come si dice,  a guida americana, non possano, una volta giunti al potere ricorrere, per restarvi il più a lungo possibile alla pratica delle censura. Perché, purtroppo, il potere tende sempre a riprodursi.
Perciò, può piacere o meno, ma le società ( e la censura) funzionano così.
Carlo Gambescia

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