mercoledì 19 novembre 2025

La retorica missina che non muore mai. Nel comizio veneto, Meloni rispolvera Almirante

 




C’è  più di un  momento, nel comizio di Giorgia Meloni a Padova, in cui si ha l’impressione di assistere a un déjà vu storico: non la leader del governo italiano nel 2025, ma la voce — intatta, riconoscibilissima — della tradizione missina (*).

Il registro è quello: identitario, sprezzante, polarizzante. Il repertorio idem: il popolo sano contro le élite viziose, la nazione offesa che solo la destra può riscattare, i nemici interni da deridere come figure grottesche.

Diciamolo senza tanti fronzoli: se si chiudono gli occhi, sembra di sentire Giorgio Almirante. Si pensi però al leader che si rivolgeva alle piazze piuttosto che al parlamentare, più controllato, e neppure allo “zietto” delle tribune televisive. (**).



La sinistra ridotta a caricatura

Almirante aveva un marchio di fabbrica: l’ironia velenosa contro la sinistra “colta”, la superiorità morale ostentata, l’appello continuo alla nazione umiliata. Meloni ripropone lo schema senza neppure aggiornarlo troppo.

Quando liquida la sinistra come una cricca “autoreferenziale”, “da salotto”, con “la puzza sotto al naso”, siamo dentro la retorica che Almirante sciorinava nelle piazze degli anni Settanta: la sinistra come élite snob che disprezza il popolo (ovviamente, il "loro" popolo).

Quando trasforma la Cgil in un gruppo di  scioperati "pontieri" che fanno “la rivoluzione nel weekend”, riecheggia il metodo almirantiano: ridicolizzare, sminuire, trasformare l’avversario politico in una caricatura sociale.

E quando punzecchia Prodi come simbolo dell’Italia “che volta le spalle all’Italia”, si sente tutto il vecchio meccanismo della destra post-fascista: gli avversari non sono semplicemente avversari, ma traditori:  figura centrale  nella cosmologia missina.

Popolo, nazione, tradimento: il trittico Msi

Meloni insiste che l’Italia è finalmente tornata “seria”, “affidabile”, “leale”. Tradotto: prima non lo era. 

E non lo era perché governata da quei poteri “senza patria” che la destra post-missina dipinge da decenni. È lo stesso Almirante che, negli anni Ottanta, denunciava una nazione “calpestata”, “svenduta”, “piegata ai poteri forti e stranieri”.



Giorgia Meloni riprende quella partitura: solo che oggi la veste di un patriottismo istituzionale, più rassicurante nel tono, identico nella sostanza.

La contrapposizione “noi popolo – loro élite” è scolastica:noi interpreti della nazione operosa; loro complici delle banche, dei palazzi, dei tecnocrati, dei professoroni.

È il vecchio Msi travestito da governo della Repubblica.

Il nemico  politico come rovina pubblica

Un altro classico missino: il paese come organismo sano assediato da degenerazioni esterne. 

“Non consentiremo che il Veneto diventi una banlieue”: la formula è la solita — sicurezza, ordine, decoro — usata come grimaldello identitario. 

Almirante parlava di “sovversione”, oggi si parla di “banlieue”: cambia il vocabolario, resta immutato l’immaginario  razzista.

“Pozzi avvelenati”

Quando Meloni accusa l’opposizione di “avvelenare i pozzi”, sembra estrarre un’altra reliquia del repertorio missino: il mito del complotto interno, dell’Italia sabotata da chi non accetta la guida del “vero” popolo.



È un concetto che Almirante ripeteva ossessivamente: la sinistra come forza anti-nazionale che preferisce governare “sulle macerie”.
Meloni lo riprende letteralmente.

Il leader come garante dell’ordine Il discorso sul premierato è la parte più rivelatrice: basta inciuci, basta palazzi, basta governi non eletti direttamente dal popolo. Il “capo” che sblocca la nazione e rimette ordine: anche qui, niente di nuovo. Si chiama "cesarismo democratico".

È l’idea del potere forte, personalizzato, che l’Msi coltivava da sempre come surrogato della “Repubblica presidenziale” mai avuta.

Conclusioni

Il comizio veneto non mostra una Meloni nostalgica: mostra una Meloni coerente.

La leader non “ritorna” al linguaggio missino: lo usa da trent’anni, con la sicurezza di chi sa che funziona bene, soprattutto in campagna elettorale. E il punto politico è semplice: alla fin fine Giorgia Meloni non è moderna nella comunicazione; è impeccabilmente tradizionale per la storia che ha alle spalle.



Il suo discorso è un collage neppure così aggiornato di quella retorica che Giorgio Almirante ha perfezionato per decenni: 1) popolo contro élite; 2) ordine contro disordine, 3) nazione contro tradimento; 4) leader contro apparati. Un linguaggio, mai accantonato, pronto all’uso.

In fondo, il comizio veneto non rivela una Meloni nostalgica, ma una Meloni lineare: continua a usare il linguaggio che l’ha formata, perché sa che mobilita, rassicura il suo campo e confonde l’avversario. È la retorica missina standard, riproposta, come detto, con il timbro istituzionale di Palazzo Chigi.

E attacca ancora oggi per un motivo molto semplice: offre un copione chiaro in un paese che vive nella percezione collettiva di uno stato di nervosa incertezza. Divide il mondo in due blocchi – popolo ed élite, ordine e caos, buoni e cattivi — e permette a chi ascolta di collocarsi subito dalla parte “giusta”, senza dubbi, senza sfumature.

Il punto, allora, non è capire perché Meloni la usi: la risposta è ovvia. 

Il vero problema è capire chi, a cominciare dalla sinistra, sia ancora in grado di riconoscere quel repertorio per ciò che è: non modernità, reazione pura.

E soprattutto, quesito fondamentale: comprendere  chi abbia  la forza politica e culturale per disinnescarlo, invece di limitarsi a subirlo.

Carlo Gambescia

 

(*) Qui il resoconto: https://www.adnkronos.com/politica/giorgia-meloni-oggi-veneto-padova-elezioni-regionali_56lYUfcm3kyyHwTR67ZXS6?refresh_ce#google_vignette .

 

(**) Per un approfondimento della figura e opera del leader missino – sebbene apologetico – rinviamo alla Fondazione Giorgio Almirante: https://www.giorgioalmirante.it/. Invece per una veloce carrellata degli stereotipi almirantiani si veda G. Almirante, Processo alla Repubblica, Ciarrapico, Roma 1980, autentico compendio propagandistico, utile però per capire lo stile almirantiano, abbondantemente confluito nella retorica di Giorgia Meloni: tono derisorio, ritmo spezzato, immagini forti, allusioni complottistiche, ossessione per il tradimento nazionale. Siamo convinti che Giorgia Meloni lo abbia letto e riletto.

Nessun commento:

Posta un commento