Marco Tarchi
e l'impoliticità delle
"Nuove Sintesi"
Il fascicolo di “Diorama letterario”, fresco di stampa,
intitolato Ripensando (al)La Nuova Destra (Gennaio-Febbraio 2012, n. 307), fa
pensare a un fortino di giacche blu assediato dagli indiani. Con una variante
però: che i pellirosse si sono silenziosamente ritirati da un pezzo per
cacciare il bufalo, mentre i soldati assediati, pochi e ignari,
continuano ad aspettare, armi spianate, l’attacco finale dell' indiano
metafisico.
Fuor di metafora: per la Nuova Destra
italiana, creatura di Marco Tarchi (nella foto) e pochi altri, cresciuta
però all'ombra del geniale Alain de Benoist, il tempo,
per un verso, sembra non essere mai passato:
capitalismo, liberalismo, Stati Uniti sono tuttora i
bersagli principali. Ma questi nemici, basta sfogliare i
giornali, sembrano ora occupati altrove e poco interessati al
confronto micro-ideologico... Quel che invece, per altro
verso, sembra finito in soffitta è l’approccio realista alla
politica che un tempo accomunava in chiave cognitiva, prima
ancora che culturale, le giacche blu della Nuova Destra. A
cominciare da Marco Tarchi che oggi, tra l’altro, di professione fa il
politologo. E chi esercita la nobile arte di Machiavelli, non può non conoscere
la triste fine dei profeti isolati e disarmati. Perché, per
uomini che provengono da destra, insistere sul valore della democrazia diretta,
dell’economia solidaristica e di un antiamericanismo viscerale quanto
velleitario, significa starsene rintanati nel fortino dell’irrealtà cognitiva,
aspettando uno scontro finale che rischia di non arrivare
mai. O che, se e quando dovesse giungere,
non potrà che assumere le ferrigne forme del
politico e non quelle di un irenico mondo, infiocchettato con i
nastrini color arcobaleno dell'estinzione della
politica... Esageriamo? No, perché questa, purtroppo, sembra
essere la direzione verso cui si è incamminata, e da un
pezzo, la cultura delle “Nuove Sintesi”. Che a differenza del
"Vecchie Sintesi" terzaviiste della prima metà del Novecento, sembra
credere nel miraggio di un futuro mondo pacificato, dove le varie comunità
politiche potranno vivere frugalmente, all’insegna della democrazia
diretta e del mutuo rispetto… In certo senso, la cultura
delle "Nuove Sintesi" è cognitivamente wilsoniana: se
conflitto ci sarà, sarà l’ultimo perché metterà fine a tutti conflitti… Il
trionfo dell'impoliticità. E, probabilmente, della
possibilità, come accadde (anche) per colpa del
wilsonismo, di nuovi e feroci conflitti... Ai quali, fin
da oggi, si dovrebbe invece guardare con occhio realista proprio
per allontanare ogni futuro pericolo. Tarchi, per
contro, sembra aspirare alla pacifica caccia
al bufalo, anch’esso metafisico, nelle Praterie
Celesti del Grande Spirito…
Diciamo che nel tempo la Nuova Destra , oltre a
perdere ideologicamente - il che resta un bene - quell’accettazione
della violenza per la violenza, tipica di certa destra neo-fascista e fascista,
ha perduto - il che invece rimane un male - ogni interesse cognitivo
per quella metapolitica che, come abbiamo scritto
altrove, rinvia allo studio e all' applicazione, in chiave realista,
delle costanti o regolarità che segnano il divenire storico e
sociologico della politica.
Detto altrimenti: se le “Nuove Sintesi” dell’ex Nuova
Destra, sono uguali, per irrealismo (meta-)politico, alle, diciamo così,
“Nuove Sintesi” dell’ex “Nuova Sinistra”, perché
dovremmo concedere a Marco Tarchi il credito che invece
neghiamo a Marco Revelli? Forse per nostre antiche
simpatie amicali nei suoi riguardi ? Ma è sufficiente la simpatia
per continuare a credere in un progetto ormai cognitivamente “impolitico” ?
Carlo Gambescia -
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