La rivista della settimana: “Antarès. Prospettive
antimoderne” n. 1, 2011 (Il pensiero in cammino. Il camminare nelle sue valenze
spirituali, filosofiche e metafisiche), pp. 48; “Antarès. Prospettive
Antimoderne”, n. 2, 2012 (Un’altra modernità. Appunti per una critica
metafisica del nostro tempo), pp. 68, rivista trimestrale gratuita pubblicata
dalle Edizioni Bietti in versione cartacea e digitale.
http://www.antaresrivista.it/index.html . |
Può esistere una modernità senza progresso? Non è facile rispondere perché
è come indagare sul futuro di un' automobile priva di ruote…
Che farsene di una Ferrari con le quattro gomme fuori
uso? Che attendersi da una modernità
incapace di progredire? Del
resto gli stessi apologeti della modernità, preoccupati quanto
i denigratori, oggi preferiscono parlare di
post-modernità, ossia di una realtà né moderna né
antimoderna, assai simile a un inutile e malinconico
deposito di vecchie automobili in attesa di demolizione.
Il nostro giro di parole ha un senso preciso, e
spieghiamo subito quale: “Antarès” rivista diretta e pensata da Andrea
Scarabelli e da un gruppo, altrettanto giovane, di redattori (
benché direttore responsabile sia Gianfranco de
Turris, vecchia volpe cui va tutta la nostra stima...), sembra
arrovellarsi intorno al complicato quesito di cui sopra. Non
per nulla, e a proposito della nostra metafora automobilistica, uno dei
fascicoli che abbiamo sotto gli occhi - il n. 1 per l'esattezza - propone
il camminare come metafora di una modernità finalmente capace
di apprezzare il gusto di andare a piedi… Del resto a cosa si
fa cenno nel “Manifesto” pubblicato nello stesso fascicolo?
A « un antimodernismo che non si risolva in una sterile critica del
presente ma che sia in grado di fornire a questo ultimo strumenti che, invero,
sono GIA’ in suo possesso. Dotare la modernità di una metafisica alla sua
altezza: questa la celebre scommessa tra Faust e Mefistofele, della quale il
presente progetto si sente erede». In sintesi: « Curare la modernità
CON la modernità stessa. Questa è la scommessa intellettuale che anima le
presenti ricerche».
Ottimo. Perciò, per non uscire di metafora,
le «prospettive antimoderne», come recita il
sottotitolo, sono tali ma solo nei riguardi di una
modernità "motorizzata"... intenta a spostare
le linee del traguardo sempre più avanti, rifiutando di interrogarsi sul
senso della sua corsa.
Però, e qui torniamo alla questione iniziale, è possibile
una modernità senza progresso "incorporato"? In che
modo, per riprendere il fascinoso titolo della rivista, Antarès
potrà dialogare con il rivale Ares? Basterà una
nuova metafisica? O forse va attribuito un senso diverso al progresso,
proprio per mantenerlo a galla nel mare magnum
modernità. Detto altrimenti: serve di sicuro
una nuova metafisica ma - ecco il punto - capace di inglobare
un concetto "altro" di progresso. Quale
però? Ad esempio, si potrebbe rileggere l'opera di
Robert Nisbet, dove come mostra il ghiotto libro fresco di stampa di
Spartaco Puppo (Robert Nisbet e il conservatorismo sociale, Mimesis),
l'idea di progresso viene ricondotta - e depotenziata - nell'alveo di
quella domanda di comunità, innata nell'uomo; domanda, la cui persistenza
storica e sociologica rivela che il vero progresso non è
rappresentato dal cambiamento in quanto tale, bensì da
quei mutamenti in sintonia con il valore non
negoziabile (perché intramontabile) della comunità. Ovviamente,
Nisbet si riferisce alla comunità così come viene intesa nella
cultura anglo-americana: una comunità liberale che
non sia mera somma dei singoli individui, né
puro surplus sovraindividuale, ma un insieme
ordinato di pratiche e relazioni, rispettose delle
libertà dei singoli, incluse quelle economiche. Semplificando: un
olismo ben temperato, o comunque ritagliato su un equilibrio tra il tutto ( i
doveri) e le parti (i diritti), sempre attento al
rispetto delle opzioni individuali e delle scelte di
minoranza.
Ennesimo tentativo di quadratura del circolo,
anche quello di Nisbet? Forse. Ma quale idea regolativa
non lo è?
Del resto, piaccia o meno, senza un' idea di futuro (e di
progresso) non c’è modernità, e senza modernità
non c’è futuro (e progresso). Non è un gioco di parole: all'
uomo moderno, preda di un grande smarrimento, va offerta una
narrazione convincente e soprattutto integrale, capace
di fondere insieme passato, presente, futuro. Quindi svolta
metafisica, ma anche storica e sociologica. Di qui, l'impossibilità
di rinunciare all'idea di progresso, non disgiunta da quella
di comunità, nel senso però cui abbiamo
accennato. Altrimenti, qual è il rischio? Quello
di restare impantanati, come sta accadendo,
nella post-modernità. Che, ripetiamo, è una
modernità in attesa della sua “rottamazione”. Sempre che, ma su
questo "Antarès" si è giustamente defilata, non
si voglia riabbracciare la causa perduta del
"passatismo": errore uguale e contrario al
"presentismo". E la stessa cosa si potrebbe dire anche a
proposito del "futurismo", soprattutto
se inteso erroneamente come culto del
futuro in quanto tale.
Comunque la si pensi, non possiamo non porgere i
nostri auguri (e complimenti) ai giovani di
"Antarès", anche per il solo fatto di aver
così generosamente accettato l'ardua sfida. D'altronde,
dove non c'è sfida, non c'è neppure
"progresso" intellettuale...
Carlo Gambescia
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