Divi in politica?
Che cosa pensare della caccia in atto a
presentatori, scrittori-presentatori, attori, eccetera, da candidare alle
prossime politiche? Insomma, del “divo” da dare in pasto agli elettori…
Diciamo che il Pci, tradizionalmente attento ai rapporti con
la cultura nel senso più ampio, anche quella popolare (quindi cinematografica),
usava candidare, non solo scrittori, ma anche attori, soprattutto negli
Settanta del Novecento: si pensi a Volonté e alla Gravina, interpreti
di spessore molto impegnati politicamente, non sempre però
premiati dagli elettori. La Dc
invece tentò invano di convincere Alberto Sordi, che pure in qualche modo con i
suoi film fiancheggiava la Balena Bianca. Tendenza poi diventata sistematica
con Berlusconi, il magnate mediatico per eccellenza. È di oggi la notizia
della possibile candidatura di Gerry Scotti a capo di una lista civica
filo-Pdl, smentita però dall’interessato. Mentre è di qualche giorno fa
la smentita, sul fronte opposto, della coppia, televisivamente
vicente, Fazio-Saviano
Non desideriamo però farla troppo lunga. È sbagliato
candidare presentatori, attori, eccetera? Nella società dello
spettacolo, o se si preferisce della politica-spettacolo, fondata
sull'interazione tra media e istituzioni politiche
democratiche, piaccia o meno, è una necessità: il "divo"
porta voti.
Il problema è un altro e concerne la qualità e maturità dei
partiti: se la candidatura del “divo” serve solo a colmare l’assenza di
idee e programmi, siamo davanti alla classica scelta di ripiego. Se invece,
parliamo di un possibile e autentico “plusvalore” professionale da
“donare” a partiti comunque all’altezza dei compiti, allora non può che
trattarsi di una scelta intelligente. A patto però di non riempire i
parlamenti di divi e divetti…
In realtà, la caccia al nome famoso è una specie di barometro politico:
quanto più i partiti sono in crisi e privi di credibilità, tanto più
cercano di recuperare, senza "affaticarsi" troppo,
puntando strumentalmente su apporti esterni. E qui il discorso andrebbe
allargato alla questione della cosiddetta “chiamata dei tecnici” al governo. Ma
questa è un’ altra storia.
Carlo Gambescia
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