Chi sbaglia, paghi
Per i giudici continuerà ad esistere il principio del chi
sbaglia non paghi? Principio, ingiusto
ma necessario, secondo alcuni, perché eviterebbe di trasformare il
magistrato in un burocrate impaurito e di rallentare, ancora di più, a causa dei possibili ricorsi, una giustizia
già elefantiaca.
Il testo al centro della polemica rivede la legge del '98 prevedendo che
"chi ha subito un danno può agire contro il soggetto riconosciuto colpevole
per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non
patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale. Costituisce
dolo il carattere intenzionale della violazione del diritto". Il testo
stabilisce che "ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste una
violazione manifesta del diritto, deve essere valutato se il giudice abbia
tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano la controversia
sottoposta al suo sindacato con particolare riferimento al grado di chiarezza e
di precisione della norma violata, al carattere intenzionale della violazione,
alla scusabilità o inescusabilità dell'errore di diritto".
Al di là dei giuridichese e semplificando, tutto ciò significa,
che chiunque venga assolto in via definitiva, dopo aver subito una condanna nel
livelli inferiori di giustizia, può direttamente citare in giudizio il magistrato autore della
sentenza. Il quale risponderebbe, se
condannato, per i danni recati, senza più alcuna mediazione
dello Stato.
Cosa dire? Che
indubbiamente una misura del genere può minare l’indipendenza di giudizio. Ma
va anche detto, che il provvedimento,
urta contro un senso comune (come provò
un lontano referendum sulla responsabilità civile), ancorato
principio del chi sbaglia paghi… Tuttavia, considerata la forza della
magistratura, quale gruppo pressione,
probabilmente al Senato i
partiti troveranno un accordo. E i giudici,
per farla breve, continueranno a
sbagliare e non pagare. Con grande indipendenza di giudizio, ovviamente.
Carlo Gambescia
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