Il
moralismo giudiziario
della Corte dei Conti e i rischi di una rivolta fiscale
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Della Corte dei Conti che esula dalle sue attribuzioni di pura revisione
contabile, ci siamo già occupati qui (http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2011/05/corte-dei-conti-banconcentrica.html
). Sbagliavamo? No. Anche ieri, infatti, il suo Presidente Luigi Giampaolino,
in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario, piuttosto che strali
contabili ha scagliato accuse sociologiche nel nome di un improprio moralismo,
soprattutto in quella sede.
In realtà, il fatto nuovo degli ultimi venti anni (visto che in questi giorni
si parla tanto di anniversari…), è il gigantesco stravolgimento politico della
funzione giudiziaria. Il che ha implicato un passo indietro degli altri poteri
dello Stato. O, se si preferisce, un triste andare a rimorchio, talvolta,
perfino dei minuti capricci organizzativi ed economici della Magistratura.
A tutto ciò, ovviamente, non ha corrisposto, alcun miglioramento nella gestione
quotidiana della giustizia: in venti anni la durata media dei processi è
raddoppiata, e di tutti i processi: penali, civili e amministrativi. Una
vergogna.
Quanto alla questione della corruzione e dell’evasione fiscale, impropriamente
sollevata da Giampaolino, si fa finta di non sapere che la prima attecchisce in
quella zona grigia pubblico- privato, ancora preponderante nell’economia
italiana. Quindi, piaccia o meno, servirebbero vere privatizzazioni. Mentre
l'evasione fiscale è collegata alla pressione fiscale, altissima nello Stivale.
Come prova una valanga di studi empirici: il rapporto tra pressione ed evasione
fiscale è direttamente proporzionale, più aumenta l’una più cresce l’altra.
Pertanto, piaccia o meno, le tasse andrebbero abbassate.
Quel che è più pericoloso è che la gigantesca invasione di campo della
Magistratura (inclusa quella Contabile), agisce come rinforzo alla nascita e
sviluppo di uno Stato di Polizia Fiscale e Giudiziaria. Scelta molto
pericolosa, ripetiamo, per la vita dello Stato stesso. E spieghiamo subito
perché.
Come ricorda Bertrand de Jouvenel, in un bellissimo libro oggi dimenticato (Du
Pouvoir), partendo da un' intrigante visione magico-religiosa del potere, « la
disobbedienza voluta, dichiarata, ostentata alle leggi dello Stato, conserva un
certo carattere di sfida agli dèi, costituisce d’altro lato un segno del loro
vero potere. Fernando Cortes abbatté gli idoli dell’isola Columel affinché la
sua impunità provasse agli indigeni che si trattava di falsi dèi , l’Hampden si
rifiutò di pagare l’imposta - ship-money - istituita da Carlo I e la sua
assoluzione fece sentire che le folgori celesti non erano più nelle mani dello
Stuart. Si sfogli la storia delle rivoluzioni: si vedrà che la caduta di ogni
regime fu preannunciata da una sfida impunita. Oggi come diecimila anni or
sono, un potere che abbia perduto il suo prestigio magico non si regge più»
(trad. it. Il Potere, Rizzoli, 1947, p. 80).
Perciò, in conclusione, più si tartassano i cittadini, più si rischia di
incorrere nella sfida finale, cui accenna Bertrand de Jouvenel. Sfida decisiva
, per dirla con Hobbes, dei sottomessi al Dio mortale, lo Stato. E che oggi ha
un solo nome: rivolta fiscale.
Carlo Gambescia
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