“Éléments” dedica un dossier all’Italia
La
tentazione populista
Piaccia o meno, un mondo, dai redattori ai lettori, che ha coltivato, mescolando rabbie antiche e modernità euristica, le stesse tentazioni culturali, di una modernità reazionaria, che condussero al fascismo, ben classificate da Tarmo Kunnas.
Parliamo, dunque, di intellettuali brillanti, "non conformi" ai canoni dell’economia capitalista, retrocessa a diramazione stradale verso le sabbie mobili del totalitarismo liberale. Intellettuali, oggi "tentati" dal populismo. In realtà, il grido di dolore raccolto da Alain de Benoist e dai suoi redattori e lettori, nei termini di una impossibile fusione tra politeismo cognitivo e strutturalismo sociologico, non è mai mutato. E' quello, disperato e rabbioso, dell'ultimo Drieu la Rochelle, che pur di opporsi alla società liberale, piaccia o meno, politeista, ma da lui giudicata, caricaturalmente, come una costosa truffa criminale, si augurava che il comunismo sovietico, in altre parole lo strutturalismo marxista, vincesse la guerra. Di qui, la reductio ad unum. Che, allora, per l'appunto, era quella formulata e rappresentata da Stalin in marcia cingolata verso Berlino. Masochismo politico puro. Né relativismo né strutturalismo, ma costruttivismo militarizzato. La società-caserma. Sicché, oggi, probabilmente, il Salvatore, dopo fiumi di inchiostro politeisti, è scorto nel costruttivismo populista.
Che dire? La storia sembra ripetersi. Forse. Però, guai asserirlo pubblicamente. Il cosiddetto pensiero unico, sembra essere passato a destra. E soprattutto in Francia, dove, chiunque osi sollevare dubbi, rischia la candidatura a nemico del popolo e amico di Macron. E ciò non è un buon segno. Il che vale anche per “Éléments”. Che, tra l'altro, in questo fascicolo pubblica un' intervista ad Alain Finkielkraut, che risale a prima dell'aggressione. Infatti, lo scrittore parla di altre cose. E professa un anti-industrialismo, che poi non lo ha salvato. Come altri ebrei, molto prima di lui. Hannah Arendt docet.
Parliamo, dunque, di intellettuali brillanti, "non conformi" ai canoni dell’economia capitalista, retrocessa a diramazione stradale verso le sabbie mobili del totalitarismo liberale. Intellettuali, oggi "tentati" dal populismo. In realtà, il grido di dolore raccolto da Alain de Benoist e dai suoi redattori e lettori, nei termini di una impossibile fusione tra politeismo cognitivo e strutturalismo sociologico, non è mai mutato. E' quello, disperato e rabbioso, dell'ultimo Drieu la Rochelle, che pur di opporsi alla società liberale, piaccia o meno, politeista, ma da lui giudicata, caricaturalmente, come una costosa truffa criminale, si augurava che il comunismo sovietico, in altre parole lo strutturalismo marxista, vincesse la guerra. Di qui, la reductio ad unum. Che, allora, per l'appunto, era quella formulata e rappresentata da Stalin in marcia cingolata verso Berlino. Masochismo politico puro. Né relativismo né strutturalismo, ma costruttivismo militarizzato. La società-caserma. Sicché, oggi, probabilmente, il Salvatore, dopo fiumi di inchiostro politeisti, è scorto nel costruttivismo populista.
Che dire? La storia sembra ripetersi. Forse. Però, guai asserirlo pubblicamente. Il cosiddetto pensiero unico, sembra essere passato a destra. E soprattutto in Francia, dove, chiunque osi sollevare dubbi, rischia la candidatura a nemico del popolo e amico di Macron. E ciò non è un buon segno. Il che vale anche per “Éléments”. Che, tra l'altro, in questo fascicolo pubblica un' intervista ad Alain Finkielkraut, che risale a prima dell'aggressione. Infatti, lo scrittore parla di altre cose. E professa un anti-industrialismo, che poi non lo ha salvato. Come altri ebrei, molto prima di lui. Hannah Arendt docet.
Detto questo, va però sottolineato
che l’ultimo numero è particolarmente interessante per i lettori
italiani, perché offre un dossier su un’Italia, “vue de droite”, per citare un Alain de Benoist d’annata. Un paese "visto" come creativo “laboratoire politique du populisme”. Proprio come impone la sindrome Drieu. Di un fenomeno, il populismo, attenzione, che, come si autodefinisce, guarda al di là della destra e della sinistra. E qui per chiunque abbia letto Sternhell dovrebbe accendersi sul cruscotto la spia dell'olio.
Ora, non sosteniamo che l’entusiasmo dei redattori di “Éléments” per Salvini, “nouvelle homme fort de l’ Europe”, sia pari a quello di Alphonse de Chateaubriant per Hitler. Saremmo ingiusti. Però, sicuramente, il piglio ducesco del Giostraio Mancato non dispiace. Anche perché il dossier si avvale di un profilo ditirambico del “Capitano”, tracciato da Antonio Rapisarda, giornalista del “Tempo” e firma di “Barbadillo”, pubblicazioni orbitanti nell'emisfero destro.
Ora, non sosteniamo che l’entusiasmo dei redattori di “Éléments” per Salvini, “nouvelle homme fort de l’ Europe”, sia pari a quello di Alphonse de Chateaubriant per Hitler. Saremmo ingiusti. Però, sicuramente, il piglio ducesco del Giostraio Mancato non dispiace. Anche perché il dossier si avvale di un profilo ditirambico del “Capitano”, tracciato da Antonio Rapisarda, giornalista del “Tempo” e firma di “Barbadillo”, pubblicazioni orbitanti nell'emisfero destro.
Bando alle tristezze. Per quale ragione interviste
significative? Perché proiettano sul
populismo italiano una specie di guerra dei mondi generazionale. Anni Ottanta-Novanta, contro
anni Cinquanta. Del Novecento s'intende. Maledetto Novecento. O Benedetto? Dipende dal giudizio che si dà del liberalismo e dei suoi nemici.
Fusaro, che, come raramente capita, ricorda subito il Maestro Costanzo Preve (forse
perché caro amico di Alain de Benoist, o perché su quella “piazza”,
Preve è "sessibon", per dirla con Alberto Sordi…). Per poi partire a
razzo con il mantra del popolo che avrebbe battuto le
élite, e che con Salvini e Di Maio, si vinceranno Scudetto e Champions.
Sebastiano Caputo, di suo, aggiunge, la Coppa del
Mondo.
Più cauto Tarchi, che sembra capitato lì per caso. In partibus infidelium, ma con tanto di matita rossa e blu da professore. Il che però va a suo merito, perché la libido tassonomica, gli consente di individuare nel
populismo italiano alcune giuste contraddizioni politiche e sociali. Che però sono le stesse scorte da Panebianco, come la questione insoluta dell'individualismo assistito, fenomeno parassitario che stride con il decrescismo pentastellato come con la logica del capannone leghista. Con una differenza: che Tarchi è antiliberale e anticapitalista. Quindi dell'accoppiamento poco giudizioso non
si dica in giro. Però va detto che Tarchi è nato negli anni Cinquanta.E ne ha viste, soprattutto a
destra, di cotte e di crude. Di conseguenza, si è stufato dell' "ammuina". E, come il liberale, caricaturale, della canzone di Stefano Rosso, non vuole più pagare le tasse...
Grandissimo realista si
mostra invece Gabriele Adinolfi. Acuto ideologo, con libri non banali alle spalle, qui riduttivamente definito “ancien
activiste”. Diciamo che Adinolfi è più cauto di Tarchi,
senza però seguire le orme di Panebianco. Giustamente, ricorda la tradizione
trasformista italiana dei rivoluzionari entrati nei palazzi del potere con il fiocco Lavallière e usciti con la lucerna dei Carabinieri. Dimenticavamo. Anche Adinolfi
è della stessa generazione di Tarchi. Ma forse la sa più lunga, perché ne ha viste - e passate, purtroppo - anche di
più.
Alain de Benoist, oggi |
Unica eccezione generazionale, Alain de Benoist, che, a dire il vero, più passano
gli anni, più diventa giovane nel pensiero. E, dunque, rivoluzionario. Diciamo che l'intelligenza, se e quando vera, non invecchia mai. Che l'amico Alain abbia fatto un patto con il diavolo? Un
diavolo jaune?
Carlo Gambescia
(*)“Éléments”, Févriers-Mars 2019, n. 176. Acquisibile qui: http://www.revue-elements.com/elements-Italie-laboratoire-du-populisme.html