sabato 2 marzo 2019

“Éléments” dedica un dossier all’Italia
La tentazione  populista



“Éléments”, la rivista della Nouvelle Droite,   sta per compiere cinquant’anni di vita, esattamente  nel 2023.   Ne parla Alain de Benoist  nell' editoriale dell’ultimo fascicolo (*), celebrando,  giustamente, la funzione di alto orientamento intellettuale, che essa  ha svolto nei riguardi del nomadismo politico di estrema destra.
Piaccia o meno, un mondo, dai redattori ai lettori, che ha coltivato, mescolando rabbie antiche e modernità euristica, le stesse tentazioni culturali, di una modernità reazionaria, che condussero al fascismo, ben classificate da  Tarmo Kunnas.
Parliamo, dunque,  di  intellettuali brillanti,  "non conformi" ai canoni dell’economia capitalista, retrocessa  a diramazione stradale verso le sabbie mobili del totalitarismo liberale.  Intellettuali, oggi "tentati" dal populismo. In realtà,  il grido di dolore raccolto  da Alain de Benoist e dai suoi redattori e lettori, nei  termini di una impossibile fusione  tra politeismo cognitivo e strutturalismo sociologico, non è mai mutato.  E' quello, disperato e rabbioso,  dell'ultimo Drieu la Rochelle, che pur di  opporsi  alla società liberale, piaccia o meno, politeista, ma da lui  giudicata, caricaturalmente, come una costosa truffa criminale, si augurava che il comunismo sovietico, in altre parole lo strutturalismo marxista, vincesse la guerra. Di qui, la reductio ad unum.  Che, allora, per l'appunto, era quella formulata e rappresentata da Stalin  in marcia cingolata verso Berlino. Masochismo politico puro. Né relativismo né strutturalismo, ma costruttivismo militarizzato. La società-caserma.   Sicché, oggi, probabilmente, il Salvatore,  dopo fiumi di inchiostro politeisti,  è  scorto  nel costruttivismo populista.
Che dire? La storia sembra ripetersi. Forse.  Però, guai asserirlo pubblicamente. Il cosiddetto pensiero unico, sembra essere passato a destra.  E soprattutto in Francia, dove, chiunque osi sollevare dubbi,  rischia la candidatura  a nemico del popolo e  amico di Macron.  E ciò non è un buon segno.  Il che vale anche per “Éléments”.  Che,  tra l'altro, in questo  fascicolo pubblica un' intervista ad Alain Finkielkraut, che risale a prima dell'aggressione. Infatti, lo scrittore parla di altre cose.  E  professa un anti-industrialismo, che  poi non lo ha salvato. Come altri ebrei, molto prima di lui. Hannah Arendt docet.

Detto questo, va però  sottolineato  che l’ultimo numero è particolarmente interessante per i lettori italiani, perché offre un dossier su un’Italia, “vue de droite”,   per citare un Alain de Benoist d’annata. Un paese "visto" come  creativo “laboratoire politique du populisme”.  Proprio come impone la sindrome Drieu.  Di un fenomeno, il populismo,  attenzione,  che,  come si autodefinisce,  guarda  al di là della destra e della sinistra. E qui per chiunque abbia letto Sternhell  dovrebbe accendersi sul cruscotto  la spia dell'olio.
Ora, non sosteniamo  che l’entusiasmo dei redattori di “Éléments” per Salvini, “nouvelle homme fort de l’ Europe”,  sia pari a quello di  Alphonse de  Chateaubriant per Hitler. Saremmo ingiusti.  Però, sicuramente, il piglio ducesco del  Giostraio Mancato  non dispiace.  Anche perché il dossier si avvale di un profilo ditirambico del “Capitano”,  tracciato da Antonio Rapisarda,  giornalista del  “Tempo” e firma di “Barbadillo”, pubblicazioni orbitanti  nell'emisfero destro.

Significative, dicevamo,  le interviste incrociate a  Diego Fusaro, Marco Tarchi, Sebastiano Caputo, Gabriele Adinolfi  sul presente e futuro del “populisme intégral” italiano:  terminologia, per inciso, che rinvia al  “nationalisme intégral” di Maurras,  un nazionalismo feroce,  che però, come noto, andò a morire nelle braccia del "nationalisme" totalitario dei  nazisti.  Insomma, non  crediamo che il termine sia di buon auspicio...  
Bando alle tristezze. Per quale ragione interviste significative?  Perché proiettano sul populismo italiano una specie di guerra dei mondi  generazionale. Anni Ottanta-Novanta, contro anni Cinquanta. Del Novecento s'intende. Maledetto Novecento. O Benedetto? Dipende dal giudizio che si dà del liberalismo e dei suoi nemici. 
Fusaro, che,  come raramente  capita,  ricorda subito il Maestro Costanzo Preve (forse perché caro amico di Alain de  Benoist, o  perché su quella “piazza”, Preve  è  "sessibon", per dirla con Alberto Sordi…).  Per poi partire a razzo con  il  mantra del  popolo che  avrebbe battuto le élite, e che con Salvini e Di Maio,  si vinceranno   Scudetto e  Champions. 

Sebastiano Caputo,  di suo,  aggiunge, la  Coppa del Mondo.
Più cauto Tarchi,  che sembra  capitato lì  per caso. In partibus infidelium, ma con tanto di  matita rossa e blu  da professore. Il che però va a suo merito, perché la libido tassonomica, gli consente di individuare nel populismo italiano alcune giuste contraddizioni politiche e sociali. Che però sono le stesse scorte da Panebianco, come la questione insoluta dell'individualismo assistito, fenomeno parassitario che stride con il decrescismo pentastellato come con la logica del capannone leghista. Con una differenza: che Tarchi  è antiliberale e anticapitalista. Quindi dell'accoppiamento poco giudizioso  non si dica in giro. Però va detto che Tarchi è nato negli anni Cinquanta.E ne ha viste, soprattutto a destra, di cotte e di crude. Di conseguenza, si è stufato dell' "ammuina". E, come il liberale, caricaturale, della canzone di Stefano Rosso, non vuole più pagare le tasse... 
Grandissimo realista  si mostra  invece  Gabriele  Adinolfi. Acuto ideologo, con libri non banali alle spalle, qui riduttivamente definito “ancien activiste”. Diciamo che Adinolfi è  più cauto di Tarchi, senza però seguire le orme di Panebianco.  Giustamente, ricorda la tradizione trasformista italiana dei rivoluzionari entrati nei palazzi del potere  con il   fiocco Lavallière  e usciti con la lucerna dei Carabinieri. Dimenticavamo. Anche  Adinolfi  è della stessa generazione di Tarchi.  Ma forse la sa più lunga, perché ne ha viste  - e  passate, purtroppo -   anche di più.

Alain de Benoist, oggi
Riassumendo,  i giovani intellettuali  “credono”, forse  pronti a “obbedire e combattere”,   quelli più attempati, non credono  più di tanto,  anche perché hanno obbedito e combattuto a suo tempo. Metafora fascista?  Certo,  ma probabilmente  siamo in argomento.  O no?  Magari,  non  si tratta della sindrome Drieu, ma  solo della sindrome del pensionato per gli uni.  E del giardino d'infanzia per gli altri.   
Unica eccezione generazionale, Alain de Benoist,  che, a dire il vero,  più passano gli anni, più diventa giovane nel pensiero.  E, dunque, rivoluzionario. Diciamo che l'intelligenza, se e quando vera, non invecchia mai.  Che l'amico Alain  abbia fatto un patto con il diavolo? Un diavolo jaune?

Carlo Gambescia   
              
(*)“Éléments”, Févriers-Mars 2019, n. 176. Acquisibile qui: http://www.revue-elements.com/elements-Italie-laboratoire-du-populisme.html