Dario Di Vico vs Bauman
Poesia
sociologica o prosa economica?
Dario Di Vico su Style (gennaio-febbraio 2009), muove a Bauman un’interessante critica, partendo dal suo ultimo libro pubblicato da Laterza (Consumo, dunque sono). Ma prima lasciamo la parola al vice direttore del Corriere della Sera. La citazione è lunga ma necessaria:
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“Insomma senza Bauman avremmo saputo
molto di meno della società in cui viviamo. Eppure stavolta chi ha letto il suo
ultimo libro (uscito in edizione originale nel 2007 per la Polity Press di
Cambridge con il titolo Consuming Life) si è trovato spiazzato. La sua
polemica feroce contro il consumismo (‘che assume quel ruolo cardine che nella
società dei produttori era svolto dal lavoro ma ci lascia vittime di una
frustrazione irrisolvibile’) è apparsa irrimediabilmente sfocata rispetto a una
fase della vita economica dei Paesi industrializzati in cui la salvaguardia
dell’occupazione e del lavoro è affidata, almeno a breve termine, proprio sul
rilancio della domanda. O se preferite dello shopping. Ora è vero che la
riflessione del sociologo anglo-polacco è di più lungo respiro, si dirige
contro ‘la società dello scarto e del rifiuto’ descritta come esito obbligato
del consumare a ogni costo, ma è anche vero che le implicazioni economiche di
un discorso sui consumi non possono essere sottovalutate quando la recessione
la fa da padrona e i posti di lavoro saltano. Altrimenti la sociologia diventa
poesia”.
.
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In effetti la martellante opera del Bauman “liquido”, a
occhio e croce una dozzina di volumi che ripetono ossessivamente lo stesso tema
in crescendo come Bolero di Ravel, non risponde a una questione
fondamentale: che fare se il consumismo divide gli uomini in consumatori
accaniti e in scarti e/o rifiuti?
Nei suoi libri di propositivo, a parte i generosi appelli a una nuova etica dei consumi e del lavoro, non c’è nulla ( si veda: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2006/12/il-libro-della-settimana-zygmunt.html ): Bauman decostruisce ma non costruisce. Magari in elegante stile post-moderno, ma riproponendo alla stregua di Dolce & Gabbana un dorato vintage sociologico, dove però ritornano fra le righe le critiche mosse al capitalismo già un secolo fa da Durkheim, Tönnies, Max Weber, Sombart.
Nei suoi libri di propositivo, a parte i generosi appelli a una nuova etica dei consumi e del lavoro, non c’è nulla ( si veda: http://carlogambesciametapolitics.blogspot.com/2006/12/il-libro-della-settimana-zygmunt.html ): Bauman decostruisce ma non costruisce. Magari in elegante stile post-moderno, ma riproponendo alla stregua di Dolce & Gabbana un dorato vintage sociologico, dove però ritornano fra le righe le critiche mosse al capitalismo già un secolo fa da Durkheim, Tönnies, Max Weber, Sombart.
Ma oggi chi legge i classici della sociologia? Nessuno,
Di Vico incluso. E così Bauman viene scambiato per un novello Cristoforo
Colombo. E la famiglia Laterza ringrazia.
Certo, non si può non manifestare stupore per l’improvvisa conversione di Dario Di Vico: sostenitore fino a ieri dell’economia dell’offerta, ora diventato paladino dell’economia della domanda. Un mistero che potrebbe essere sciolto solo con l’aiuto della psicanalisi.
Ma al tempo stesso non si può non sottolineare la concretezza del problema posto dal vice direttore del Corriere della Sera: quello del necessario collegamento tra ripresa dei consumi e ripresa economica. Ovviamente, sempre che si voglia restare all’interno di un’economia capitalistica, come appunto sembra auspicare Bauman.
Tuttavia Di Vico, a sua volta, non distingue tra consumi privati e pubblici… E infatti finisce per collegare meccanicamente la ripresa economica agli effetti di ricaduta del solo shopping: in pratica dei consumi privati.
Si dirà, per quanto di alto livello, è solo un giornalista… Tuttavia anche nel “professor” Bauman, a differenza di Galbraith tanto per fare il nome di un classico in materia di consumi pubblici, non c’è alcuna teoria organica sul ruolo dei consumi di beni collettivi e dello stato in economia. C’è solo una critica al consumo esasperato di beni privati: dove Di Vico vede il bene, Bauman scorge il male. Ma si ferma sull’orlo del crepaccio, gira su se stesso e torna indietro, probabilmente, per andare a scrivere un altro libro sulla società liquida...
Di più: sia in Bauman che in Galbraith non è trattato il problema della decrescita. In Galbraith, come è noto, per sviluppismo organico di origini rooseveltiane. Mentre in Bauman, benché talvolta sfiori il problema, manca “l’ affondo” decrescista per ragioni, crediamo, morali e politiche: legate al timore, da esule politico, di ripetere le lontane esperienze totalitarie della Polonia comunista, ma in nome, questa volta, di valori “decrescisti”, imposti da qualche nuovo Grande Fratello.
Cosa che gli fa onore. Ma lascia aperto il problema posto da Dario Di Vico: come conciliare critica sociologica della società dei consumi (privati) e ripresa economica all’interno della società attuale? O se si preferisce: la poesia sociologica con la prosa economica del capitalismo?
Certo, non si può non manifestare stupore per l’improvvisa conversione di Dario Di Vico: sostenitore fino a ieri dell’economia dell’offerta, ora diventato paladino dell’economia della domanda. Un mistero che potrebbe essere sciolto solo con l’aiuto della psicanalisi.
Ma al tempo stesso non si può non sottolineare la concretezza del problema posto dal vice direttore del Corriere della Sera: quello del necessario collegamento tra ripresa dei consumi e ripresa economica. Ovviamente, sempre che si voglia restare all’interno di un’economia capitalistica, come appunto sembra auspicare Bauman.
Tuttavia Di Vico, a sua volta, non distingue tra consumi privati e pubblici… E infatti finisce per collegare meccanicamente la ripresa economica agli effetti di ricaduta del solo shopping: in pratica dei consumi privati.
Si dirà, per quanto di alto livello, è solo un giornalista… Tuttavia anche nel “professor” Bauman, a differenza di Galbraith tanto per fare il nome di un classico in materia di consumi pubblici, non c’è alcuna teoria organica sul ruolo dei consumi di beni collettivi e dello stato in economia. C’è solo una critica al consumo esasperato di beni privati: dove Di Vico vede il bene, Bauman scorge il male. Ma si ferma sull’orlo del crepaccio, gira su se stesso e torna indietro, probabilmente, per andare a scrivere un altro libro sulla società liquida...
Di più: sia in Bauman che in Galbraith non è trattato il problema della decrescita. In Galbraith, come è noto, per sviluppismo organico di origini rooseveltiane. Mentre in Bauman, benché talvolta sfiori il problema, manca “l’ affondo” decrescista per ragioni, crediamo, morali e politiche: legate al timore, da esule politico, di ripetere le lontane esperienze totalitarie della Polonia comunista, ma in nome, questa volta, di valori “decrescisti”, imposti da qualche nuovo Grande Fratello.
Cosa che gli fa onore. Ma lascia aperto il problema posto da Dario Di Vico: come conciliare critica sociologica della società dei consumi (privati) e ripresa economica all’interno della società attuale? O se si preferisce: la poesia sociologica con la prosa economica del capitalismo?
Carlo Gambescia
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