Riflessioni
Franco Carlini, la Rete e la conoscenza come
dono
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Sul Manifesto di ieri è apparso un interessante
scritto inedito di Franco Carlini, scomparso improvvisamente due anni fa.
Sempre ieri si è ricordata la sua figura in un convegno genovese ( http://mir.it/servizi/ilmanifesto/cultura/?p=140 ) . Per
quale ragione ne parliamo? Perché Carlini da colto e appassionato studioso dei
nuovi media, e in particolare di Internet, fu tra i primi in Italia a intuire
le potenzialità della Rete. Nella quale scorgeva il potente moltiplicatore di
una crescente fame di socialità da soddisfare attravero il dono di una
conoscenza sovvertitrice da trasmettere gratuitamente all'altro, digitando
informazioni (sovversive) sui nostri personal computer.
Ma lasciamo a lui la parola:
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Dieci tesi sull'economia della conoscenza
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Dieci tesi sull'economia della conoscenza
1. Nel 21esimo secolo sembra infine
realizzarsi la società dell'informazione, anzi della conoscenza, più volte annunciata
fin dagli anni '60. Ciò avviene per effetto congiunto della commoditization dei
beni materiali, della globalizzazione e delle tecnologie digitali sviluppatesi
negli ultimi 30 anni. La conoscenza, da semplice strumento del potere e
dell'economia (al servizio dell'innovazione), diventa merce essa stessa.
2. La proprietà intellettuale è termine
relativamente recente che vuole trasformare in diritto universale ed eterno,
persino naturale, alcune forme storiche di protezione e incentivazione della
creatività come copyright, brevetti, marchi. Lo scopo è di creare una scarsità
artificiale dove, per la natura stessa della conoscenza, c'è invece abbondanza.
Questa strategia di corto respiro viene tentata dalle multinazionali dei
saperi, ma rischia di frenare l'innovazione tecnica e sociale. In ogni caso sta
generando sane controtendenze e conflitti.
3. Questo spostamento del valore verso i
beni immateriali è sia favorito che contrastato dalla rivoluzione Internet.
Essa è figlia di tecnologie e regole «aperte» e ha prodotto, senza che alcuno
potesse prevederlo, una non market networked economy (un'economia non di
mercato interconnessa) con prassi e culture diverse rispetto sia all'economia
di mercato che a quella di stato. L'elemento caratterizzante è la cooperazione
fin dal momento della produzione di conoscenza.
4. Per molti la cooperazione è un
mistero, persino un errore dal punto di vista dell'utilitarismo e delle
versioni volgari del darwinismo. Invece non c'è nulla di misterioso perché essa
è il fondamento di ogni sistema complesso. Diversi modelli sono stati proposti
per spiegare l'insorgere e il perpetuarsi della cooperazione nelle società
umane.
7. Ancor più inspiegabili risultano
all'individualismo utilitarista i comportamenti di altruismo estremo e le
pratiche del dono. Lungi dall'essere residui del passato o confinati
nell'ambito familiare, delineano un'economia (se così la si vuole chiamare) i
cui output sono beni relazionali . L'altruismo della specie umana è davvero,
come appare dalla letteratura recente un mistero che deve essere spiegato,
un'eccezione rispetto alla natura umana (e delle società umane) che sarebbero
intrinsecamente egoiste e utilitariste? In questa visione l'altruismo appare
come un rimedio volontaristico, a correzione del male intrinseco, un valore
sovrapposto alla natura egoista, al peccato originario. Oppure una correzione
ai fallimenti del mercato.
8. Il dono è sfacciato. Il dono è dissipazione.
Il dono è sovversivo. Il dono dimostra che l'uomo possiede delle facoltà
superiori alla razionalità. Perché, come sosteneva Blaise Pascal, il cuore ha
le sue ragioni che la ragione non conosce. E proprio come ogni trasgressione,
il dono è affascinante perché crea turbamento, provoca è rottura, alimenta
contestazione.
10. Qui il cerchio si chiude. Le
relazioni, il dialogo, le conversazioni, persino il pettegolezzo, sono il
fluido che anima la rete internet. Sovente vengono prodotte peer to peer,
condivise con estranei, e generano conoscenza globale la quale, per esistere e
crescere, deve muoversi in circolo, in rete, come e più delle conchiglie delle
Trobriand. La conoscenza come dono, non divino ma dell'umanità a se stessa. Alcuni
fatti e tendenze permettono di crederlo.
(http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090120/pagina/14/pezzo/239961)
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(http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090120/pagina/14/pezzo/239961)
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Si tratta di un’esposizione eccellente. Che tuttavia, pur
auspicando "sani conflitti", non scioglie il nodo tra dono e
politico. E purtroppo si tratta di una questione non affrontata anche in un
libro pubblicato di recente da Feltrinelli (Luca De Biase, Economia della
felicità. Dalla Blogosfera al valore del dono e oltre ). Sul quale però
torneremo in seguito, magari con una recensione.
Qual è il punto? Che Carlini dà per scontato che la società sia solo cooperazione spontanea. E che si riproduca per forza propria dall’interno, senza alcuna necessità di organizzazione politica imposta dall’esterno (come sistema di coercizione, o cooperazione artificiale, diretta e indiretta a prescindere dalla forma di governo) Resa invece necessaria da quella che i filosofi sociali chiamano la naturale socievolezza insocievole dell’uomo. E aggiungiamo purtroppo...
Qual è il punto? Che Carlini dà per scontato che la società sia solo cooperazione spontanea. E che si riproduca per forza propria dall’interno, senza alcuna necessità di organizzazione politica imposta dall’esterno (come sistema di coercizione, o cooperazione artificiale, diretta e indiretta a prescindere dalla forma di governo) Resa invece necessaria da quella che i filosofi sociali chiamano la naturale socievolezza insocievole dell’uomo. E aggiungiamo purtroppo...
E’ vero che esiste una zona grigia dove organizzazione
sociale e politica si confondono in modo sovversivo. Qui Carlini ha ragione. Ma
si tratta anche della dimensione sociale del "non detto". Si pensi ad
esempio al ruolo molto ambiguo che svolge l’amicizia, bene relazionale per
eccellenza, ma di natura irrazionale perché basata su valori (instabili) come
ad esempio la simpatia e la riconoscenza, all’interno di strutture (stabili)
sociali e politiche, animate in linea di principio dalla razionalità
strumentale (un ufficio, un partito, un'impresa, un gruppo di pressione, se non
addirittura criminale).
Fermo restando il fatto che di regola la cooperazione
sociale è sempre “contro” qualche cosa e/o qualcuno (una causa, un gruppo, un
individuo). Perciò ritenere che l’altruismo basti da solo a “cambiare” le cose,
anche se molto nobile, è piuttosto ingenuo. Perché la benevolenza non basta, se
è il nemico a considerarti tale. Il male, purtroppo, è una realtà sociale. Con
la quale dobbiamo fare i conti.
Di conseguenzala Rete ,
pur valorizzando un immaginario e un linguaggio più liberi ( e qui si dovrebbe
attentamente distinguere tra sovversione immaginaria e reale...) , non potrà
non riprodurre gli stessi schemi comportamentali fondati su valori instabili
e strutture stabili. E dunque sulla necessità di una organizzazione
politica fondata sullo schema amico-nemico e sulla decisione politica,
imperativa e dirimente, spesso in modo socialmente doloroso. Finendo così per
"risucchiare" anche la volontà di democrazia
"partecipativa" all'interno di un più "naturale"
allineamento per gruppi contrapposti.
Il che non significa, come sostiene il bravissimo Carlini, che il dono della propria conoscenza non sia importante. E che non si debba criticare l’utilitarismo imperante. Ma solo che non bisogna farsi troppe illusioni sulle potenzialità nascoste nella pura circolarità della "conchiglie delle Trobriand" di malinowskiana memoria.
Tutto qui.Di conseguenza
Il che non significa, come sostiene il bravissimo Carlini, che il dono della propria conoscenza non sia importante. E che non si debba criticare l’utilitarismo imperante. Ma solo che non bisogna farsi troppe illusioni sulle potenzialità nascoste nella pura circolarità della "conchiglie delle Trobriand" di malinowskiana memoria.
Carlo Gambescia
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