lunedì 21 febbraio 2011

Venti (africani) di rivolta.
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Quel che sta accadendo in Africa settentrionale e in altre nazioni di un continente che per molti resta tuttora politicamente misterioso dovrebbe far riflettere noi europei. E per una ragione sociologica molto semplice.
La differenza, tra i sommovimenti africani e il largo consenso sociale che nonostante la crisi regna in Europa, è segnata dal differente approccio strutturale alle questioni economiche. In poche battute: in Europa abbiamo la democrazia, l’economia di mercato e buone capacità di produzione e consumo, in Nord Africa, la dittatura, l’economia controllata e limitate capacità di produzione e consumo. Semplificando al massimo: in Europa, grazie a una società policentrica e basata sul consenso contrattato, la crisi finora non ha provocato forti contraccolpi sociali e politici. Mentre in Africa, dove esiste una società monocentrica e fondata sul consenso imposto con la forza, la crisi ha già prodotto in alcuni paesi gravissime conseguenze.
Piaccia o meno, ma è proprio la società democratica di tipo occidentale a fare la differenza tra noi e loro. Ciò non significa che i popoli africani in rivolta siano già pronti per la democrazia. Né che il nostro sistema sia il migliore in assoluto, né che debba essere imposto agli altri con la forza. Anche perché sarebbe inutile e sanguinoso, dal momento che la democrazia di tipo europeo-occidentale implica una società policentrica, ricca di poteri politici e sociali in libera competizione (partiti, sindacati, associazioni). Un’evoluzione sociologica e storica che richiede secoli. Perciò le rivolte in corso - fatte salve le diverse differenze locali - potrebbero sfociare, stante la natura monocentrica di quelle società (la cui unica istituzione effettiva è rappresentata dalle forze armate), in dittature, più o meno aperte, sotto il controllo dell’esercito. L’altra variabile che potrebbe entrare il gioco è quella religiosa, in particolare nella versione fondamentalista. La cui forza ed effettività resta però legata al suo reale grado di penetrazione sociale e al rapporto con le forze armate.
Abbiamo volutamente tralasciato gli aspetti geopolitici della questione per concentrarci su quelli sociologici. Per non parlare delle fantasiose ipotesi “complottistiche” attualmente circolanti...
Come si diceva un tempo, a ognuno la sua arte.

Carlo Gambescia

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