Il caso Englaro e
la “metafisica” del diritto
(conclusioni provvisorie al termine di una
settimana molto lunga)
Abbiamo seguito con interesse il dibattito sulla vicenda
di Eluana, sviluppatosi nel Paese e in particolare su questo blog. E cogliamo
l'occasione per ringraziare pubblicamente tutti gli amici commentatori.
Vorremmo ora però fissare alcuni paletti, di
"metodo” (come piace a noi) sulla questione del rapporto tra diritto,
politica, cultura e società: questione emersa, ma fino a un certo punto, dal
dibattito. Ovviamente affronteremo la cosa dal punto di vista sociologico.
Sotto questo aspetto il diritto è una forma di organizzazione sociale. Che riflette, storicamente, le particolari concezioni socioculturali, non solo del diritto, succedutesi nel tempo, sulle quali qui però non ci pronunceremo in termini valutativi.
Sotto questo aspetto il diritto è una forma di organizzazione sociale. Che riflette, storicamente, le particolari concezioni socioculturali, non solo del diritto, succedutesi nel tempo, sulle quali qui però non ci pronunceremo in termini valutativi.
Riteniamo, con la scuola istituzionalista, quella forse
più attenta alla questione sociologica, che il diritto sia un fatto sociale, in
quanto fatto organizzativo, e dunque sociale (nel senso che nasce “in società”)
e societario (in quanto “organizza la società”).
Tuttavia quando si dice società si dice organizzazione; quando si dice organizzazione si dice gerarchia (quantomeno funzionale); quando si dice gerarchia si dice suddivisione della società in governati e governanti.
Il che significa che il diritto positivo (quello dei codici e delle leggi) consiste da sempre in una certa idea realizzata ( anche se imperfettamente; ma già definirla imperfetta implica un giudizio di valore e di parte…) di organizzazione sociale in base alla visione socioculturale prevalente (poi vedremo come) in un certo momento storico.
Tuttavia quando si dice società si dice organizzazione; quando si dice organizzazione si dice gerarchia (quantomeno funzionale); quando si dice gerarchia si dice suddivisione della società in governati e governanti.
Il che significa che il diritto positivo (quello dei codici e delle leggi) consiste da sempre in una certa idea realizzata ( anche se imperfettamente; ma già definirla imperfetta implica un giudizio di valore e di parte…) di organizzazione sociale in base alla visione socioculturale prevalente (poi vedremo come) in un certo momento storico.
Ma - ecco il punto - prevalente fra e su chi? In genere sono
le classi governanti, più o meno controllate da quelle governate, a dettare le
linee organizzative del diritto, per ragioni di preminenza culturale ed
economica. Ovviamente la dominanza non è mai completa, soprattutto nella
moderna società democratica, dove prevale un diritto socialmente attivo
rispetto a quello passivo delle società premoderne. Di qui il conflitto, più o
meno acceso, tra le diverse concezioni socioculturali del diritto e i vari
gruppi che le sostengono. Di solito nelle situazioni di conflitto - e questo è
un dato che riguarda qualsiasi società - si usa invocare la relazione tra
diritto esistente, come “fisica” del diritto, e una qualche costruzione
culturale del diritto, come "metafisica", sia in chiave difensiva (
nel senso della perfetta "aderenza" della "fisica" alla “
metafisica” del diritto) sia in chiave offensiva ( come imperfetta
"aderenza", eccetera) .
Quando parliamo di “metafisica” del diritto ci riferiamo a una serie di valori che di regola vengono correlati, soprattutto in Occidente, al diritto naturale, nelle sue varie tradizioni e incarnazioni religiose, morali, etiche, lungo un continuum di posizioni che vanno dall' onnipotenza della Natura, di Dio, dell’Uomo e ritorno.
Pertanto - e veniamo finalmente al punto - il conflitto culturale (in senso lato) e politico sul diritto per Eluana, di morire o meno, va inquadrato, almeno dal punto di vista sociologico ( o meglio della sociologia della conoscenza), come una lotta tra opposte concezioni socioculturali del diritto come fattore organizzativo della società, invocanti particolari “metafisiche” contro la “fisica” di un diritto positivo, giudicato come imperfettamente organizzato, da entrambe le parti, e ovviamente, come già notato, sulla base di valori opposti. Tuttavia, in questi casi a decidere in ultima istanza non è il valore veritativo delle "metafisiche" in conflitto, ma la forza socialmente "dirimente" dell’apparato di potere sociale. Apparato che in genere è appetito da tutte le forze in campo (a favore e contro). Ma come mostrano esperienza storica e sociologica, dal momento che non è facile impadronirsi di esso con la sola forza persuasiva della "bontà" delle idee, di regola finisce per vincere ( o comunque è molto favorito) chi detiene il controllo “effettuale” della struttura organizzativa. Un controllo che riguarda non solo l'esercizio del potere nudo (quello che alcuni definiscono biopolitico, di vita e di morte), e ovviamente nelle società democratiche quello organizzativo sui cosiddetti tre poteri, inclusa la magistratura, ma anche il potere, oggi fondamentale, di informare-formare la pubblica opinione. E dunque, come si dice, quello di "dettare l’agenda" e perciò di ostacolare o favorire la marcia del potere nudo.
E così è stato, anche per Eluana.
Quando parliamo di “metafisica” del diritto ci riferiamo a una serie di valori che di regola vengono correlati, soprattutto in Occidente, al diritto naturale, nelle sue varie tradizioni e incarnazioni religiose, morali, etiche, lungo un continuum di posizioni che vanno dall' onnipotenza della Natura, di Dio, dell’Uomo e ritorno.
Pertanto - e veniamo finalmente al punto - il conflitto culturale (in senso lato) e politico sul diritto per Eluana, di morire o meno, va inquadrato, almeno dal punto di vista sociologico ( o meglio della sociologia della conoscenza), come una lotta tra opposte concezioni socioculturali del diritto come fattore organizzativo della società, invocanti particolari “metafisiche” contro la “fisica” di un diritto positivo, giudicato come imperfettamente organizzato, da entrambe le parti, e ovviamente, come già notato, sulla base di valori opposti. Tuttavia, in questi casi a decidere in ultima istanza non è il valore veritativo delle "metafisiche" in conflitto, ma la forza socialmente "dirimente" dell’apparato di potere sociale. Apparato che in genere è appetito da tutte le forze in campo (a favore e contro). Ma come mostrano esperienza storica e sociologica, dal momento che non è facile impadronirsi di esso con la sola forza persuasiva della "bontà" delle idee, di regola finisce per vincere ( o comunque è molto favorito) chi detiene il controllo “effettuale” della struttura organizzativa. Un controllo che riguarda non solo l'esercizio del potere nudo (quello che alcuni definiscono biopolitico, di vita e di morte), e ovviamente nelle società democratiche quello organizzativo sui cosiddetti tre poteri, inclusa la magistratura, ma anche il potere, oggi fondamentale, di informare-formare la pubblica opinione. E dunque, come si dice, quello di "dettare l’agenda" e perciò di ostacolare o favorire la marcia del potere nudo.
E così è stato, anche per Eluana.
Alcune conclusioni (provvisorie).
Che pure in questa occasione vi sia stato un conflitto
tra concezioni socioculturali, forti di "metafisiche" differenti del
diritto, è un indubbio segno di vitalità sociale . Che questo conflitto sia
sfociato nella vittoria organizzativa di una delle due parti in lotta è un dato
effettuale. Del resto sul piano della vitalità sociale, anche una sconfitta - o
una vittoria - è sempre preferibile alla stasi, come totale assenza di
conflitti.
Resta però aperta la questione “metafisica” del giudicare se si sia trattato o
meno di una vittoria di Pirro.
Carlo Gambescia
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