martedì 24 febbraio 2009

Crisi economica 
La fiducia è una cosa seria



Soprattutto in questi giorni, in cui la crisi economica sembra farsi più grave, si legge della necessità di creare un clima di fiducia intorno ai mercati: solo il ritorno della fiducia nelle principali istituzioni economiche capitalistiche (imprese e banche), si scrive, potrà consentire il superamento della crisi.
La fiducia è una cosa seria. E purtroppo è una “risorsa morale” difficile da (ri)generare, perché dipende da una sensazione soggettiva di sicurezza, fondata sulla speranza o stima riposta in uomini e/o istituzioni. Sensazione soggettiva, che si alimenta e diffonde collettivamente, attingendo a due fonti: l’esempio e la funzionalità sociale.
L’esempio, come esemplarità sociale del comportamento, è legato al ruolo fodamentale che il senso del dovere sociale svolge in una società. Più le classi dirigenti (politiche ed economiche) avvertiranno il peso dell’esemplarità sotto il profilo della emulazione collettiva di ogni comportamento di governo, più la fiducia nelle capacità morali e di governo di “quella” classe dirigente, favorirà, autoalimentandola, la circolazione e la crescita della fiducia all’interno della società.
La funzionalità, o produttività sociale delle istituzioni , è invece legata alla correlazione, che viene sempre stabilita in termini di “immaginario sociale” da ogni collettività, tra capacità morale e funzionamento concreto delle istituzioni. Si hanno qui due processi differenti: a) se le istituzioni “funzionano”, e bene, in termini di costruzione del benessere sociale, permane una fiducia diffusa in “quelle” istituzioni, a prescindere da qualsiasi giudizio morale (positivo o negativo) sulla classe dirigente (politica ed economica); b) se le istituzioni non “funzionano”, nei termini di cui sopra, la fiducia pubblica si incrina, rischiando di travolgere, estendendosi ad esse, anche le classi dirigenti. E quando la crisi di fiducia si trasferisce dalle istituzioni agli uomini che vi sono dietro, l’intero sistema economico, sociale e politico rischia di crollare.
Ora, la crisi economica in atto, sta mostrando l’incapacità delle istituzioni economiche capitalistiche di produrre benessere sociale.
Ovviamente per i difensori del sistema (soprattutto la classe dirigente economica: imprenditori, banchieri, finanzieri, economisti) si tratta di una crisi grave ma transitoria: si dovrebbe solo tornare a nutrire nei riguardi del sistema “quella” fiducia che si aveva in precedenza.


In realtà più che una dimostrazione di fiducia la classe dirigente economica chiede alla gente comune un atto di fede: un credere nel sistema economico slegato da qualsiasi valutazione sulla sua effettiva funzionalità. Pertanto mai confondere gli atti di fede, imposti dall’alto, con la fiducia generata dal basso, grazie al buon funzionamento delle istituzioni.
Sotto questo aspetto, e soprattutto nelle circostanze attuali, il principale compito della classe dirigente politica è quello di dare una risposta operativa, capace, mettendo sotto controllo pubblico il mercato, di ripristinare la funzionalità del sistema. E perciò la sua capacità di alimentare ( di ritorno) fiducia dal basso.
In realtà la classe politica tentenna. Si parla troppo e si agisce poco. Ci si mostra indecisi tra il sostegno alla richiesta di un “atto di fede” avanzata dalla classe dirigente economica, e la necessità di un aperto interventismo politico-economico per sostenere le istituzioni capitalistiche. Istituzioni, ripetiamo, che una volta tornate a “funzionare”, dovrebbero favorire la crescita della fiducia collettiva nel sistema, avviando un cosiddetto circolo virtuoso.
L’indecisione politica è un “cattivo esempio”. Che accresce la condizione di insicurezza tra la gente comune, deprime gli investimenti, paralizza la produzione e i consumi. Insomma, l’inazione politica rischia di provocare l’azzeramento della fiducia nelle istituzioni (del capitalismo) e nella classe dirigente (politica ed economica).
Il che, dobbiamo ammetterlo, potrebbe trasformare la crisi infrasistemica in sistemica. Per assoluta mancanza di fiducia. E - attenzione - in un quadro politico ed economico, privo di qualsiasi seria alternativa, almeno per ora, al sistema capitalistico. E parliamo di alternative vere, capaci di ricostruire una “funzionalità” ed esemplarità differenti. E dunque basate su una “nuova” fiducia, come dire, “postcapitalistica”.
Il crollo puro e semplice del sistema, oggi auspicato da alcuni avventurieri delle idee, sarebbe soltanto un pericoloso salto nel buio. Soprattutto per i più deboli. 
Carlo Gambescia

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