Divagazioni
Dal nazional-popolare
all’internazional-popolare
.
Che cos’è nazional-popolare? Il Festival di San Remo?
Il Grande Fratello? Assistere commossi alla sfilata del 2 giugno? Un film di Alberto Sordi? Fare tifo per
la nazionale di calcio? Difficile dire. Ci limiteremo ad alcuni spunti veloci.
Niente di complicato e definitivo. Un invito all'approfondimento.
Partiamo dai "Maggiori". La teorizzazione di Gramsci del
nazional-popolare come capacità dell’intellettuale “progressivo” di farsi
interprete delle aspettative delle “classi subalterne”, è oggi superata.
Proprio come certi romanzi, pur suggestivi, di Cesare Pavese. Per quali
ragioni?
Perché non c’è più alcun partito-principe, al quale l’intellettuale debba
essere in qualche modo fedele, non ci sono più masse da nazionalizzare, e cosa
più importante, quel che è "nazionale" - come ad esempio l’amor di patria
e in subordine il piacere di viaggiare (e “mangiare”) in lungo e in largo per
l’Italia – non è più "popolare". Ricerche e sondaggi mostrano che gli
italiani si “sentono” sempre più internazionali: cittadini del mondo. Viaggiano
all’estero, apprezzano la cucina etnica, eccetera.
Si dirà, sono dettagli. Ma a nostro avviso molto significativi. Per due
ragioni.
In primo luogo, perché mostrano l’internazionalizzazione della cultura
popolare, quella del cibo e degli usi sociali, come il viaggiare: il livello
più basso, profondo e sentito. E qui è sufficiente seguire una qualsiasi
conversazione, tra persone comuni, per scoprire come oggi il non viaggiare sia
avvertito e sancito socialmente come una diminutio capitis.
In secondo luogo, perché indicano che sarebbe più corretto parlare di
cultura internazional-popolare. Ovviamente non in senso gramsciano, ma in
chiave sociologica come insieme di valori e pratiche diffusi internazionalmente
tra la gente comune. E qui ci riferiamo a quel modello sensistico (di valori,
atteggiamenti e comportamenti) condiviso da Roma a San Francisco (se non
oltre), incentrato sull’ ubi bene ibi patria e veicolato dal cinema,
dalla musica e dai media in genere, attraverso un inglese di base, ormai
impadronitosi linguisticamente della cultura audiovisiva.
Pertanto continuare a discutere del nazional-popolare è inutile. Andrebbe
invece studiato l’internazional-popolare.
Carlo Gambescia
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