Per il nazionalismo vale la legge del più forte. Musk ha inveito contro i giudici italiani. E il governo Meloni, ultranazionalista, ha taciuto su una dichiarazione che se fosse sopraggiunta dalla Francia, dalla Germania, dalla Spagna, paesi liberali, avrebbe scatenato un putiferio di reazioni. E invece, finora, la macchina propagandistica del governo l’ha liquidata come una questione privata tra Musk e i giudici italiani.
Si badi, non si tratta di affinità ideologiche tra i reazionari americani e italiani ( o comunque non solo), ma dell’accettazione della volontà del capobranco che nel nazionalista – si ricordino le terribili parole di Hitler e di Mussolini, sull’indegnità di coloro che perdono le guerre – è norma di vita: feroce darwinismo militare. Perdi? meriti di soccombere.
Il che forse significa che, in precedenza, quando negli Usa governavano democratici e repubblicani liberali, l’Italia, quando e se si allineava, era perché subiva la volontà del più forte a Washington?
No, l’Italia, saggiamente, nel 1945, ritornò nell’alveo delle istituzioni liberali e di una splendida comunione di valori occidentali e atlantici. Ovviamente gli Stati Uniti erano i più forti, senza però farlo pesare. Qui l’intelligenza liberale di quello che oggi si chiama soft power. Come metro di paragone, tra hard e soft power, si pensi alle pesanti ingerenze sovietiche in Ungheria e della Cina in Tibet.
Si dirà ma la Seconda Guerra Mondiale, la Corea, il Vietnam, le guerre del Golfo, l’Afghanistan, l’Ucraina non sono state forse guerre di ingerenza Usa? No, il contenimento e la guerra contro il nemico fondamentalista, sono una cosa, l’aggressione militare di un innocente un’altra. Altrimenti tra Mussolini e De Gasperi, tra Saddam e Zelensky non esisterebbe più alcuna differenza. Come pure, per essere più espliciti, tra autocrazia e liberalismo.
Ad esempio, gli Stati Uniti liberali, pur temendo il comunismo, si
sono ben guardati, dal far cadere governi europei con la forza delle
truppe uscite dalle basi americane per deporre presidenti francesi,
tedeschi e italiani. Si dirà che la sola presenza era un deterrente. Ma
come mai, il solo deterrente, a segni politici rovesciati, non è
bastato con ungheresi, polacchi, cechi, eccetera? E sul punto non c’è
tesi complottista che tenga. Si chiama comunione di valori liberali.
Ovviamente resta aperto il disastroso capitolo delle relazioni tra
gli Stati Uniti e America centrale e latina. Che dire? Nessuno è
perfetto. Tenendo però anche presente – non è una giustificazione –
il carattere immaturo, caudillista e nazionalista di quei regimi
politici, sicuramente non sempre in sintonia con la tradizione liberale
europea. Che dovrebbero fare gli Stati Uniti? Cedere a Mosca?
Oppure, come nel caso di Israele, fondamentale bastione liberale in
Medio Oriente, lasciare che i fondamentalisti – nemici anche
dell’Occidente – lo facciano a pezzi? Si chiama realismo politico
liberale. E discende dalla comunione liberale di cui sopra.
Ora però, la svolta reazionaria del 5 novembre, vede imporsi,
dall’altra parte dell’Oceano, dove inziarono le rivoluzioni
liberal-democratiche, poi estesesi alla Francia e all’intera Europa, un
capobranco, Trump. Con accanto Musk, una specie di vice, che potrebbe succedergli: si pensi all' imperatore adottivo secondo l'uso romano.
I due leader credono nella legge del più forte. Senza mezzi termini. Il che evidenzia la contraddizione del nazionalismo italiano costretto, come ogni altro nazionalismo, a piegarsi dinanzi alla legge della giungla.
Il lato tragicomico è che la destra dalle radici fasciste, dalla quale proviene Giorgia Meloni, che ha sempre contrastato e con disprezzo l’americanismo, ora si trova a condividere la causa del peggiore movimento politico nativistico Usa dal 1945 ad oggi. Un vicolo cieco che ricorda quello in cui si infilarono i collaborazionisti francesi e italiani, tutti rigorosamente nazionalisti, ridotti in stato di semischiavitù politica da Hitler.
Il nazionalista si arrende sempre al più forte . Il senso della gerarchia animale – una specie di dariwnismo bellico – vale all’interno come all’esterno. In ogni nazionalista si nasconde l’animo dello schiavo.
Solo l’adesione a una comunità liberale, fondata sulla società aperta, sulla mediazione e la tolleranza, può tenere a bada i demoni del nazionalismo. E così è stato nell’Occidente euro-americano fino all’avvento di Trump e dei suoi ammiratori europei, quasi tutti dalle simpatie fasciste, populiste e fascio-comuniste.
C’è un altro aspetto delle dichiarazioni di Musk che merita di essere evidenziato, probabilmente ancora più grave del servile richiamo della foresta al quale obbedisce il nazionalista.
Quale? Il disprezzo tipico del cesarista, o aspirante autocrate, verso i giudici. Trump, Musk e gli altri esponenti delle destre europee non accettano la divisione dei poteri né la funzione di garanzia del giudice, il ruolo di contrappeso di un potere terzo. Per dirla fuori dai denti, Musk ha mollato un calcione allo stato di diritto.
Il mantra autocratico del cesarista è semplicissimo: il potere politico di Cesare non deve incontrare ostacoli. Soprattutto quando è votato da tutto il popolo o da una larga maggioranza di esso. Per il cesarista la minoranza non merita alcun rispetto e il giudice deve attenersi al volere della maggioranza. O, altrimenti, come dichiara Musk, “andarsene”.
L’ora è grave, anche perché quando sta accadendo, sembra essere solo l’inizio di un capovolgimento politico dei valori liberali.
Carlo Gambescia
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