Papini, Pareto e
l’ ateismo sociologico perfetto
...
Nei Carteggi paretiani, ottimamente curati da Gabriele De Rosa, quasi
cinquant’anni fa, c’è una pagina fondamentale sull’ «ateismo sociologico». Di
che cosa si parla? Della necessità per ogni sociologo ( o studioso), se vuole
fare scienza seriamente, di assumere l’abito dell’ «ateo perfetto»: tesi
avanzata, come ora vedremo, da un Giovanni Papini ancora in piena fase
pragmatistica pre-conversione.
Dunque, in una risposta di Vilfredo Pareto a Vittore Pansini, si legge: « Il
Papini, nell’ottima recensione [al Trattato di Sociologia generale, apparsa su
“La libertà economica”, 31 gennaio 1917)] ha benissimo notata l’indole mia:
Sono un ateo di tutte le religioni – compresa la metafisica – ma un ateo che
riconosce il valore grande che, per la società, possono avere quelle
religioni». Ma che cosa aveva scritto Papini? Il lettore è subito servito: « Il
carattere fondamentale del pensiero paretiano è di essere “non religioso”.
Badiamo: non religioso e non già antireligioso. È verità saputa, almeno da quei
pochi avvezzi a rifettere, che gli antireligiosi sono dei religiosi fanatici
per altre fedi. Quando gli uomini volgari parlano o sentono parlare di
“religioni” intendono soltanto le antiche religioni provviste di miti, di
rivelazioni, di clero regolare e di culto riconosciuto. Ma gli intelligenti
sanno da un pezzo che presso codeste religioni vecchie ne sono nate e
moltiplicate altre religioni – che chiameremo, se volete laiche - le quali non
sono meno dogmatiche, intolleranti, sentimentali, mitologiche, metafisiche di
quell’altre. Sono, per esempio, le varie religioni del popolo (o democratiche)
del Progresso, della Ragione, della Scienza, dell’Umanità, della Solidarietà,
dell’Igiene, della verità (…). Il Pareto – quasi solo nell’Europa moderna - non
appartiene a nessuna di queste religioni, né alle vecchie, né alle nuove. Egli
è l’ateo perfetto e completo dinanzi a tutte queste e fortunate divinità” » (
Carteggi paretiani (1892-1923), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1964,
pp. 112-113, nota 3).
Molti cattolici sobbalzeranno. Ma qual è in realtà il succo (certo, non
gradevole per chiunque tuttora creda nella possibilità sturziana di una
«sociologia del soprannaturale») del discorso paretiano-papiniano? Che l’ateo
perfetto deve comportarsi da ateo anche nei riguardi della religione ateistica:
ogni sociologo non può non fare conti con tutte le religioni vecchie e nuove,
valutandone però debitamente gli effetti di ricaduta sociale, sia in termini di
ordine, sia di rivoluzione. Ma in che modo? Affrontando il "fatto
religioso", quando indaga la vita sociale, non da credente o fedele ma
quale uomo di studi o di scienza. Il che però - ecco la controindicazione
paretiana-papiniana - non deve mai implicare lo scivolamento nella fanatica
religione degli scienziati: lo scientismo. Quindi, per un verso l'ateismo
perfetto è rivolto contro tutti gli “ismi”, per l'altro, proprio per evitare i
guasti dello "scient-ismo", si lascia libero lo studioso, quando non
indaga, di credere o di non credere in qualsiasi religione.
Pareto, in realtà, era scettico. E quindi anche in privato dubitava di tutto e
tutti, fuorché degli amici, talvolta poi pentendosene. Non per nulla, ai suoi
tempi, si parlava di Pareto, e malinconicamente, come del solitario di Céligny,
la località svizzera in cui risiedeva.
Insomma, nulla impedisce al sociologo cattolico di fare scienza, come dire,
scienza sociale nuda, tesa a studiare la realtà effettuale. Il che però implica
un pesante fardello esistenziale, tutt'altro che perfetto: quello del vivere
sospesi tra teismo privato e ateismo pubblico (o accademico). Si tratta di un
equilibrio difficile da conseguire, dilaniante sul piano personale, perché si
rinuncia a perseguire la verità evangelica quando si fa ricerca, per attenersi
alla applicazione di costanti socio-politiche. E non si vive bene: la corda del
sapere metapolitico resta sospesa tra Dio e gli uomini, sotto il nulla, sopra
il cielo. Si vive, insomma, sentendosi «invisi a Dio e a li inimici sui» ...
Del resto quali alternative? Trasformare la religione (qualsiasi religione,
vecchia e nuova) in scienza pura o rivoluzionaria, sposando comunque una causa?
Oppure dubitare sempre di tutto e tutti, anche nel privato, per vivere in modo
solitario, o comunque appartato, rinunciando nell' intimo a tremare dinanzi
alla grandezza di Dio?
Carlo Gambescia
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