Un articolo di Alessandro Piperno
Louis-Ferdinand Céline e
il male del secolo
Non è facile affrontare il male del Novecento che brilla
negli occhi di Louis-Ferdinand Céline. Soprattutto se non lo si storicizza,
quel male. E ieri Alessandro Piperno non è riuscito neppure ad alzare
lo sguardo su di lui... (http://www.corrieredellasera.it/
).
Innanzitutto parliamo di uno storicismo, abbastanza particolare, che sappia ricondurre le questioni "letterarie" nell’alveo di un prospettiva storica vivente. Capace di farsi cronaca vissuta, o storia, apparentemente infinita, almeno fin quando sussistono, nei singoli e nel sociale, quei problemi irrisolti che ne sono alle radici.
Purtroppo Piperno interpreta Céline attraverso un’altra categoria critica, quella dell’universalismo intellettuale. Ma debole. E come è di moda oggi alla luce di un solipsismo nichilistico.
Innanzitutto parliamo di uno storicismo, abbastanza particolare, che sappia ricondurre le questioni "letterarie" nell’alveo di un prospettiva storica vivente. Capace di farsi cronaca vissuta, o storia, apparentemente infinita, almeno fin quando sussistono, nei singoli e nel sociale, quei problemi irrisolti che ne sono alle radici.
Purtroppo Piperno interpreta Céline attraverso un’altra categoria critica, quella dell’universalismo intellettuale. Ma debole. E come è di moda oggi alla luce di un solipsismo nichilistico.
Ecco la sua tesi. Céline sposa la causa ideologica
sbagliata. Tradendo così la sua funzione di scrittore dedito alle professione
di quei valori universali, riassunti nella “pietà per la condizione umana”,
così ben raffigurata nel corpo a corpo con la morte di Bardamu, il protagonista
di Voyage au bout de la nuit il suo primo libro ("uno dei libri
del secolo", nota Piperno). Ma in che modo”? Mettendo la sua prosa
"scandalosamente raffinata" al servizio dell’antisemitismo
nazionalsocialista, prima in Bagatelle per un massacro ("un libro
schifoso") e infine nella trilogia del Nord. Uno stile, che
proprio perché "prezioso" quasi in misura "oracolare", rese
la “troika di libelli” (…) incapace di raccontare il dramma che l’umanità stava
per vivere”.
In conclusione a uccidere criticamente il Céline del Voyage
fu l’eccesso di stile e non di ideologia… E forse qui, ma è solo un' ipotesi,
c'è un che di invidia da scrittore a scrittore... Ma questa è un'altra storia.
Probabilmente per capire Céline ci si dovrebbe immergere
nel buco profondo e buio di quel “disincanto nichilista”, così apprezzato da
Piperno proprio nel primo Céline. Un disincanto, che invece a nostro avviso,
apre e sorveglia il massiccio portale di piombo dell’inferno novecentesco. E che
continua a contagiare, dopo essersi riconvertito in scepsi democratica, le
“poetiche” letterarie e filosofiche dominanti. Tradotte, così bene, in pillole
avvelenate dal cinema d'oltreceano.
Un disincanto, zeppo di antieroi cinematografici miniti
di seghe motorizzate, che si potrebbe far risalire al gusto pre-dark di certo
tardo romanticismo, a suo tempo sezionato senza pietà da quel chirurgo
dell’anima romantica (e delle sue chincaglierie) che era Mario Praz.
Un disincanto individualista e nichilista che inglobando,
pur ad altissimi livelli stilistici, “tutto” Céline, si brucia prima nel fuoco
del totalitarismo monopartitico, per poi alimentare con le sue ceneri il
pensiero debole e/o pulp-massificato dei nostri giorni, altrettanto totalitario
con la sua fede nel laissez faire a tutto tondo. Ma divinizzato e
condiviso da Piperno. Un pensiero "attuale" che continua a
conquistare le menti, perché riproduce in misura stilisticamente perfetta ma
senza alcuna pietà - ecco l’importanza del ferro storicista per capire - quella
che “deve” essere la situazione esistenziale dell’uomo del Novecento e dopo,
fino all’oggi: un essere solo, disincantato, anomico, sospeso tra due nulla: il
primo che precede la nascita e il secondo che viene dopo la morte… E quel che è
peggio appagato (per difetto) della sua condizione di servo sciocco di altre
forze. Terrene.
Un' esistenza apparentemente brillante nella forma ma grigia nella
sostanza. Dove si accendono i richiami immaginifici ma inquietanti di luminose
(e per alcuni numinose) cattedrali secolari. E l’antisemitismo può essere uno
di questi richiami. Ancora oggi.
Ma non solo. Può esservi anche il triviale messaggio
dell'Outlet di un individualismo debole, anomico, magari stilisticamente
prezioso. Ma marcio dentro. Anche se fuori si mostra fieramente anarcoide e
antiborghese, come era quello di Céline, oppure anarchico-borghese con vezzose
curvature dandiste, com’è quello di Piperno. Fatte, ovviamente, le debite
proporzioni letterarie e umane tra Céline e Piperno. Nonché tra Roma e
Gerusalemme.
Lo stile non è tutto. La storia sì. E per sentirsi in
colpa verso di essa è necessario comprenderla. Céline non l'aveva assolutamente
capita, ma neppure Piperno. E probabilmente proprio per questa ragione Céline
mai riuscì a sentirsi in colpa. Proprio come, oggi, Piperno a scrutarlo negli
occhi.
Carlo Gambescia
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