Può darsi che abbia ragione la politologa francese Marie Mendras. Che su “Le Monde” sostiene che dietro la seconda aggressione, per ora verbale, all’Ucraina, opera di Trump, vi sia un Putin che bisognoso di una pausa, ovviamente alle sue condizioni, ha puntato sul cinismo del magnate americano, disposto ad allearsi con chiunque pur di poter presentare all’incasso la cambiale di un grosso successo internazionale (*).
È la tesi della debolezza costitutiva russa. Che ritiene, che alla lunga, se Occidente e Ucraina continuassero a battersi, la Russia sarebbe costretta a ritirarsi dall’Ucraina. Sospendiamo il giudizio.
Ma c’è un’altra cosa interessante da dire. Stiamo scoprendo un Trump avido, oltre che imprevedibile, avventato, borioso. Sono qualità che possono anche perdere un uomo politico, figurarsi chiunque giochi al grande statista.
Quanto all’avidità, parla da solo l’accordo proposto da Trump all’Ucraina sulle terre rare, intesa che garantirebbe agli Stati Uniti l’accesso ai minerali preziosi del paese in cambio di aiuti militari ed economici forniti a Kiev. L’Ucraina accetterà? Sospendiamo il giudizio.
Quel che colpisce è la vista corta del Trump “uomo d’affari”. Come ne I corvi di Henry Becque, si avventa su un’ Ucraina in difficoltà, che invece una volta vittoriosa e libera, potrebbe restituire mille volte tanto.
E invece Trump si accontenta del classico uovo oggi. Fidandosi della parola di Putin. Trump crede che una volta normalizzata l’Ucraina (si legga: liquidato Zelensky, anche fisicamente), gli Stati Uniti potranno continuare a impadronirsi delle risorse ucraine, con l’improbabile permesso della Russia.
Le scelte di Trump hanno però provocato una forte reazione, assai poco materialistica (a breve diremo perché), in Francia e Gran Bretagna, reazione che però Marie Mendras sopravvaluta.
Perché per continuare a restare al fianco dell’Ucraina, sostituendosi agli Stati Uniti, servono ingenti risorse, soprattutto in prospettiva. Risorse che al momento l’intera Ue non possiede. Di qui l’inevitabilità di un gigantesco riorientamento dell’economia europea in chiave bellica. Perché, si badi bene, dire che l’Europa farà da sola significa modificare le nostre vite, dai consumi all’etica civile. Cosa non facile e che non si può realizzare dall’oggi al domani.
Si deve anche tenere conto della presenza politicamente trasversale di una fastidiosa quinta colonna pacifista che ora scorge in Trump e Putin uomini di pace. Oltre ovviamente alla sistematica disinformazione russa che inquina quotidianamente il dibattito politico.
Dicevamo reazione poco materialistica. Perché? Per la semplice ragione che in questo momento così complicato per l’economia sarebbe primario interesse dell’Ue evitare un lungo e costoso conflitto con la Russia. E invece sembra aver vinto l’idealismo.
Può bastare? E soprattutto può durare? Riteniamo di no. È vero che le scelte di Trump, a proposito di terre rare, che ricordano le politiche hitleriane di rapina dei popoli slavi, hanno sollevato una giusta ondata di sdegno. Però come sembra solo a livello politico e in modo particolare in Francia e Gran Bretagna e come sembra anche in Canada, Germania e in qualche altro paese europeo. I sondaggi però ci dicono che gli elettori sono divisi, e che più trascorre il tempo, più si guarda all’Ucraina come a un fardello sempre più gravoso da sopportare.
Ovviamente l’alternativa al richiamo dell’ideale e alla conseguente edificazione di una specie di economia di guerra, è rappresentata dall’abbandono dell’Ucraina al suo triste destino. Anche perché, una volta venuto meno l’ombrello americano, non esistono terze opzioni. O di qua o di là. O Con l’Ucraina o con l’ “inizio” di nuova alleanza mondiale tra Stati Uniti e Russia.
Un associarsi servile, si badi non agli Stati Uniti della Dichiarazione d’Indipendenza, ma ai torvi Stati Uniti di Trump, Musk, Bannon. A tale proposito si legga cosa ha dichiarato Giorgia Meloni, con la consueta faccia di bronzo: che l’ “Ucraina è un paese aggredito” e che bisognerà lavorare “insieme” per costruire una pace “giusta e duratura”, solo grazie a leadership “forti” come quella di Donald Trump che “non si allontanerà” dall’Europa a differenza di quello che “si augurano i nostri avversari” (**).
Povera Ucraina. Un doppiogiochismo rivoltante.
Chi non ricorda invece il celebre discorso, dinanzi alle travolgenti vittorie hitleriane, nel quale Churchill, chiedendo agli inglesi di resistere, dichiarava di non avere “nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore”. Ora la situazione è peggiore. Perché mancano, come ammette anche Starmer, un Churchill e un Roosevelt. Inoltre, cosa ancora più grave, è come se Roosevelt si fosse alleato con Hitler.
Siamo davanti a una specie di rovesciamento mondiale delle alleanze. Una parte dell’Occidente, quella più potente, si è chiamata fuori, e in nome di un venefico impasto, di cinismo, avidità, boria sembra pronta ad allearsi con i nemici dell’Occidente. Mentre ciò che resta dell’Occidente, la sua parte europea, sembra essere una democrazia liberale fragile, indecisa, divisa.
Sotto quest’ultimo aspetto la decisione di voler restare al fianco dell’Ucraina se per un verso fa onore a Macron e Starmer, per l’altro solleva non pochi interrogativi su come verrà gestita concretamente, considerate le risorse limitate, soprattutto militari.
Fin qui la nostra analisi dell’obiettiva situazione.
In realtà la forza di volontà, se corroborata da un potenziale patrimonio ideale, culturale e tecnologico, in cui si crede fermamente, può molto.
Soprattutto una volta compreso che l’espansionismo russo non è stato inventato da Putin, ma è un’idea che viene da lontano e che affonda le radici nella tradizione politica di Bisanzio: Mosca la Terza Roma, dopo Roma e Costantinopoli. Un’idea che nasce dopo la caduta di Costantinopoli (1453) e che sopravviverà a Putin, come è sopravvissuta al regime zarista e sovietico.
Sotto questo aspetto l’Ucraina non è che il bivacco di una lunga marcia che, come si augurano i russi, può condurre all’unificazione tra l’appendice dell’Eurasia, l’Europa, e la Russia asiatica che giunge fino allo Stretto di Bering.
Trump, che ancora crede che le acque dell’Atlantico e del Pacifico difendano, da sole, gli Stati Uniti, non si rende conto, nella sua ignoranza della storia, che consegnare l’Ucraina alla Russia ne moltiplica l’appetito. Una “fame” che rinvia a un preciso progetto transtorico eurasiatico che mette in discussione l’idea di Occidente nel nome di un astuto divide et impera.
Qualcuno spieghi a Trump che la prima regola in guerra è quella di seminare divisioni nel campo nemico e favorire l’armonia nel proprio.
Cosa che alla Russia sta riuscendo molto bene. E con il permesso di Trump. Si chiama anche suicidio politico. Dell’Europa come degli Stati Uniti.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento