Invitiamo i lettori a dare un’ occhiata alla rassegna stampa di oggi sul Giornalone (*).
Le prime pagine di quasi tutti giornali registrano una grande assente: la notizia dell’ordine dato da Putin al ministero della guerra, e pubblicamente (per la prima volta), di tenere “nel breve futuro” esercitazioni per prepararsi al “possibile uso di armi atomiche non strategiche ” (**). E quando la notizia c’è, è ben nascosta tra le altre. Provare per credere.
Naturalmente gli uomini di Mosca, a partire dal suo “duce”, collegano la decisione all’ “obiettivo di “garantire l’integrità territoriale e la sovranità dello Stato russo”, addossando la colpa, delle conseguenze, piuttosto minacciose, di una misura del genere alle “dichiarazioni provocatorie e minacce contro la Russia da parte di certe personalità occidentali”.
Per capirsi: a Macron che parla dell’invio di truppe, se i russi dovessero sfondare il fronte ucraino, quindi guerra convenzionale, Putin risponde alzando il tiro e puntando sulla guerra non convenzionale. Puro e semplice uso dell’ Hard power, cioè del potere coercitivo, al massimo livello: quello della guerra atomica. Hard power, il lettore prenda appunto.
Ciò significa che la Russia è capacissima di tutto. Si noti: Russia. Infatti il problema non è rappresentato soltanto dal decisionismo di Putin. Da un uomo solo al comando. Dal momento che il grande consenso intorno alla sua figura, indica che egli è solo la punta di lancia di una mentalità degna di Ivan il Terribile, che accomuna l’intera classe dirigente russa abituata, da almeno quattrocento anni ( qui pesa, la tradizione dei Romanov), a nutrirsi di una cultura imperiale e imperialistica, dalle profonde radici, addirittura bizantine: il mito della Terza Roma, il panslavismo, eccetera, eccetera.
La Russia, a differenza dell’Occidente euro-americano, non ha mai rinunciato a tale riserva mitologica (neppure al tempo Stalin). Per contro la cultura occidentale, euro-americana, oggi largamente imbevuta di pacifismo, proietta, quasi naturalmente, se stessa nell’altro. E di conseguenza dà per scontato che il tempo dei grandi imperi e dei progetti di conquista sia finito per sempre.
Non per nulla, anche in ambito politologico, riscuote consenso la teoria del Soft power, nel senso della reale possibilità di dominare, culturalmente l’avversario politico, senza necessità di ricorrere all’arcaico Hard power delle guerre. Detto sociologicamente: ammirazione invece di odio. Detto politologicamente: consenso invece di forza (***).
Si noti però il termine usato dai softpoweristi: avversario non nemico…
E qui fatta una precisazione importante: l’avversario condivide le nostre regole ed idee, mentre il nemico no. Quindi non può ammirarci. Ma solo odiarci. Ed è quest’ultimo il caso della Russia. Siamo davanti a una macchina che fabbrica odio, che l’Occidente, imbevuto se non ubriaco di teoria del Soft Power, continua a considerare una semplice avversaria. Un innocuo e simpatico tagliaerba...
Insomma, la tesi difesa dai softpoweristi, dolciastra a dire il vero, è questa: prima o poi Mosca si convertirà, quindi inutile incattivirla.
Pertanto il silenzio della stampa sulle pericolose dichiarazioni di Putin non è che la scontata conseguenza del pacifismo europeo che crede nel Soft power. Nella forza dell’ammirazione verso i suoi valori.
Si tratta di una visione delle cose che risale a un periodo di grande sviluppo economico, politico e civile, quello che precedette la prima guerra mondiale, diciamo tra il 1870 e il 1914. Quando molti politici, studiosi, intellettuali, credevano che l’unificazione economica e scientifica del mondo avrebbe messo fine alle guerre. Tra i primi a sposare questa causa vi fu Herbert Spencer, brillantissimo sociologo, che oppose l’industrialismo ( Soft power) al militarismo ( Hard Power). Così purtroppo non fu. E non sarà neppure in futuro.
Si ride del terrapiattisimo, che in qualche misura mette in discussione, l’indiscutibile, cioè la forza di gravità. Ecco, coloro che ignorano la pericolosità della Russia (nemica non avversaria), mettono in discussione la forza di gravità della politica, rappresentata da alcune regolarità metapolitiche.
Ne ricordiamo alcune: la persistenza, come continua ricostituzione, del potere; la presenza del ciclo politico segnato dalla conquista, conservazione e perdita del potere; la persistenza della dinamica amico-nemico (****).
Sia chiaro: che esistano forme di dominio politico soft è indiscutibile, soprattutto alla luce di regolarità, come quella della presenza di un centro politico o tradizione come fonte di appartenenza a una determinata unità sociale, oppure della persistenza o razionalizzazione-giustificazione dei fenomeni politici a livello comportamentale.
Però, ecco il punto, non può essere esclusa l’altra faccia della medaglia: quella del dominio politico hard, diciamo. Altrettanto rilevabile storicamente e sociologicamente, di cui Russia e Cina sono oggi le nuove reincarnazioni.
Pertanto è un grave errore, accettare l’idea che la Politica, come la Terra, sia piatta. Priva, ad esempio, di terremoti e scossoni militari, anche potenti, in chiave imperialistica, determinati dalla stessa forza di gravità della politica, studiata della metapolitica. Disciplina, quest’ultima, che potremmo definire una specie di fisica del potere, tesa ad approfondire non le briglie istintuali del potere (come in Foucault), ma i suoi aspetti statici (Soft power) e dinamici (Hard power), se proprio si desidera usare questi termini.
Certo, sarebbe bellissimo un mondo senza guerre, dove come recita Isaia (11, 6-8), “Il lupo abiterà con l’agnello e il leopardo giacerà col capretto; il vitello, il leoncello e il bestiame ingrassato staranno insieme e un bambino li guiderà”. Però, dispiace dirlo, la fisica metapolitica asserisce il contrario.
Ciò significa che il terrapiattismo politico potrebbe fare la fortuna della Russia e la rovina dell’Occidente. Mosca, va presa sul serio.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.giornalone.it/ .
(**) Qui: https://www.adnkronos.com/internazionale/esteri/russia-nucleare-putin-insediamento_4PxV2ri8DScMKPXcqhB2HF .
(***). Per una teorizzazione di tali concetti (non in chiave metapolitica però) si veda Joseph Nye, Leadership e potere. Hard, soft, smart power, Editori Laterza 2010.
(****) Su questi aspetti rinviamo al nostro Trattato di metapolitica, Il Foglio 2023, 2 volumi.
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