L’Italia al tempo del Coronavirus
La svolta biopolitica
Mi
capita spesso in questi giorni di isolamento forzato, di conversare telefonicamente con amici e
persone di famiglia sui risvolti sociali del Coronavirus: tutte le
conversazioni lasciano trasparire, da
parte del 90 per cento dei miei interlocutori, il desiderio
di conforto, di sentirsi dire che tutto andrà bene, eccetera, eccetera. Solo
in pochi sembra affiorare uno spirito di
ribellione, o comunque la necessità
usare il senso critico
Non
dico nulla di nuovo, Sorokin, nei suoi studi, degli anni Quaranta del secolo
scorso, sul rapporto tra calamità e società corredati di ampie statistiche, mostrò che
in queste fasi le società si polarizzano tra individui capaci di dare
il meglio e il peggio,
esemplificando, "eroi vs saccheggiatori". Per contro, il resto della società, diciamo il novantacinque per cento delle persone, reagisce
secondo il criterio dell’istinto di sopravvivenza, modulato dal carattere, dall’ambiente, dall’ età, dall’istruzione, eccetera.
Le persone si chiudono in se stesse e quanto più il messaggio sociale
che pervade la vita quotidiana enfatizza
il pericolo tanto più la società si atomizza: nel senso che si scompone in particelle individuali
minutissime che non comunicano in alcun modo tra di esse. Per capirsi: né in
termini di prezzi (mercato), né di valori (società), né di sapere (cultura).
Il
che, inevitabilmente, rafforza, dinanzi all' individuo marginalizzato, il
potere biopolitico (di vita e di morte) delle istituzioni. Per citare un esempio sociologico classico, tocquevilliano, quanto più una società si atomizza , insomma si priva delle sue istituzioni (da quelle di
mercato all’associazionismo sociale e culturale, eccetera) tanto più diventa prigioniera
di un forte potere centralizzato che decide ciò che sia bene per il singolo,
anche dal punto di vista della sopravvivenza biologica.
Un’epidemia,
come quella in corso, nonostante per
ovvie ragioni di ordine pubblico la retorica politica (uso il termine retorica in modo neutrale) debba incoraggiare i
comportamenti altruistici verso lo stato e verso i concittadini, de facto, mina le relazioni sociali, alimentando comportamenti egoistici e fenomeni di accentramento del
potere politico.
Comportamenti egoistici, che, attenzione, dal punto di vista della pura sopravvivenza individuale, sono totalmente comprensibili. Non lo sono ovviamente dal punto di vista della conservazione sociale di una rete di prezzi, valori, sapere. Di ciò che si chiama società civile: un piccolo miracolo sociologico e storico, che ha meno di tre secoli di vita.
Comportamenti egoistici, che, attenzione, dal punto di vista della pura sopravvivenza individuale, sono totalmente comprensibili. Non lo sono ovviamente dal punto di vista della conservazione sociale di una rete di prezzi, valori, sapere. Di ciò che si chiama società civile: un piccolo miracolo sociologico e storico, che ha meno di tre secoli di vita.
Quel
che va sottolineato è la natura oggettiva
del processo sociale di atomizzazione, che si mette in moto ogni volta
che si presenta una situazione di pericolo sociale.
Come
si comportano le autorità sociali, o comunque coloro che detengono il potere?
Innanzitutto,
esistono due tipi di pericolo sociale. Quello reale (come l’invasione da parte di un nemico, un terremoto, un’
epidemia) e quello irreale ( si pensi
alla retorica anti-immigrati, alle fobie
complottiste, eccetera). Ora, a dire il vero, tra i pericoli reali, quello epidemico è il più rischioso dal punto di vista della percezione della realtà effettiva.
Il che non
è mai bene. Perché quanto più la percezione della realtà è scalare ( nel senso
di una misurazione effettiva del
fenomeno estremamente variabile e se valutabile, sempre in chiave prospettica) tanto più diventa difficile
adottare politiche compatibili con un pericolo che non si lascia ingabbiare dal senso della realtà.
Esistono
perciò due tipi di possibile risposta politica,
o lasciar fare, ovviamente
adottando misure minime di tutela, o applicare il principio di precauzione per intervenire all’insegna del “come se”. Il
primo non favorisce l’atomizzazione-centralizzazione,
il secondo sì.
In
Italia si è dato il secondo tipo di risposta, per alcuni addirittura in
ritardo, per alcuni come chi scrive, in modo fin troppo energico. Ora perciò ci troviamo alle prese con un processo di atomizzazione, in basso al
quale corrisponde un processo di
centralizzazione in alto.
Ci
viene ripetuto quasi ogni giorno che le
misure precauzionali sono a termine e che sono per il nostro bene. In realtà, si tratta di processi (atomizzazione e
centralizzazione), come detto, dotati di
forza propria che una volta avviati non
possono essere facilmente arrestati, proprio come avviene con le epidemie
psichiche di paura diffusa: la paura incide sulla decisione politica e
viceversa. E così via secondo la
classica forma della spirale sociale.
Ora,
per tornare alla situazione italiana, tutto ruota intorno alla reale consistenza
del giudizio politico sulla pericolosità sociale del Coronavirus. Politici
e medici , compatti (scienziati qualcuno di meno), sono tutti dalla parte del principio di
precauzione, come del resto larghissima parte dei cittadini attoniti.
Il
Coronavirus, secondo la retorica pubblica dominante,
direttamente o indirettamente, può ucciderci tutti. Di conseguenza, si è messa
in moto una “macchina sociale” di natura biopolitica che vede addirittura nello stato (quindi non solo nel governo) il
difensore del bios individuale: macchina che non può essere fermata dall’oggi al domani
e che può costituire un pericoloso precedente.
Sociologicamente
parlando, piaccia o meno, così stanno le cose.
Carlo Gambescia