Sociologia e questione del male nel
mondo
a proposito del tuo articolo (*), cosa dire? Che si gioca tutto su attacco e difesa e se la
miglior difesa sia l'attacco, ma ciò è in funzioneanche delle intenzioni del
nemico, reale o presunto.
Non può non essere un approccio relativistico, data la variabilità
di attori e, appunto, delle relative motivazioni.
Insomma,
la "non belligeranza" potrebbe non bastare, come non bastò nello
scriteriato approccio tentennante di Mussolini nei confronti dei desiderata di
Hitler, per fare nomi non contemporanei.
Un caro
saluto,
Carlo Pompei (**)
(*) http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2020/01/la-sociologia-e-la-questione-del.html
(**) Giornalista e insegnante.
(**) Giornalista e insegnante.
***
Ho letto (*).
Esistono problemi che fuoriescono dalla competenza della
sociologia: il problema del male ad esempio è uno di questi. Perché mai un
sociologo dovrebbe preoccuparsi di definire il male o di definire il bene? Nel
suo lessico tali parole o concetti dovrebbero proprio essere banditi. Quindi,
chiedere ad un sociologo cosa sia per lui il male nel mondo non mi sembra avere
molto senso. Ma comprendo che è tipico di chi ha una visione totalitaria della
realtà cercare di trascinarvi dentro, magari senza tanti riguardi per la logica
e per il pensiero coerente, tutto lo scibile umano. Ugualmente credo che non
abbia molto senso accusare il sociologo di “relativismo” se accettiamo il fatto
acquisito che tutte le scienza particolari sono “relativiste” per definizione.
Ma perché mai occuparsi e preoccuparsi del relativismo delle scienze?
Probabilmente perché molti scienziati hanno la tendenza a fare delle loro
scienze particolari degli assoluti e a mettersi su un terreno di competizione e
di scontro con altri assoluti magari ideologici o religiosi. E possono nascerne
duelli all’ultimo sangue o all’ultimo concetto. Personalmente non ho mai capito perché la Religione dovrebbe
mettersi a dialogare con la Scienza e
viceversa. Sono dialoghi infruttuosi, che non portano a nulla e che anzi
generano solo confusione. Meglio tenere i due ambiti ben distinti e separati,
se non altro per evitare sciocchezze del tipo “la particella di Dio” e simili.
Sto divagando, chiedo scusa. Il vero problema, caro Carlo, è che la
Scienza oggi
ha preso il posto della Religione e che il suo linguaggio si è fatto linguaggio
prevalente. C’è da temere la sociologia quando scade nel sociologismo, come c’è
da temere la scienza quando scade nello scientismo. Accetto che il “male” venga
definito da un sociologo una “di-sfunzione”, ma non accetto né
l’intercambiabilità dei termini, né l’integrazione dell’uno nell’altro, né la
prevaricazione dell’uno sull’altro. Ma ovviamente non è il tuo caso.
Un grande abbraccio,
Aldo La Fata
(*) http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2020/01/la-sociologia-e-la-questione-del.html
(**) Ricercatore di storia delle idee, studioso del pensiero tradizionalista, direttore della rivista " Il Corriere Metapolitico".
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Il neutralismo affettivo, o se si vuole il relativismo, se gioca
un ruolo importante sul piano analitico, su quello politico, inevitabilmente
rischia di condurre alla paralisi. La “non
belligeranza”, come tu, caro Carlo, asserisci giustamente, non
esiste. O comunque resta legata, quanto all’effettività
politica, alle dimensioni degli attori. Più sono ridotte,
più l’influenza si riduce. Serve dunque realismo e capacità di saper affrontare
il male inevitabile che può provenire dalle decisione. Prudenza
politica consiglia di soppesare sempre male minore e maggiore.
Sotto questo aspetto, come tu, caro Aldo, altrettanto giustamente,
sottolinei, il sociologo non può, anzi non deve pronunciarsi
moralmente sulla natura del bene e del male, ma può, sembra di
capire, parlare correttamente di disfunzionalità sistemiche. Sarà poi compito
dell’interlocutore fare le valutazioni del caso, morali, religiose,
culturali, eccetera. E comunque sia - anche su questo punto concordo - mai mettere in imbarazzo sociologo,
ponendo domande che egli non può (e non deve) dare.
Quanto alle valutazioni del teologo, del moralista, eccetera,
esse, come impone norma prudenziale, non possono eludere soprattutto sul
piano organizzativo, le costanti della politica, anzi della metapolitica.
Se non a rischio - attenzione - di sprofondare in pericolose utopie.
So benissimo che per voi cari amici esistono forze
superiori - dal disegno imperscrutabile (la sulfurea
dinamica delle volontà umane per Carlo;
il misterioso governo divino per Aldo) - al puro e
semplice piano sociologico o meglio ancora, metapolitico delle regolarità (per intendersi),
Ne prendo atto, laicamente. Anche perché, per parte mia, non sono assolutamente nella condizione, in primis come sociologo, in secundis come uomo, di formulare
alcuna teoria definitiva sulla storia e sulla società.
Vi abbraccio,
Carlo Gambescia
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