Il
Natale secondo
"Un posto al sole”
Ebbene sì, da anni, chi scrive segue
regolarmente (o quasi) “ Un posto al sole”, la soap italiana dalla
lunghissima anzianità di servizio.
La sua principale caratteristica, sviluppatasi però nel tempo, è di "stare sulla notizia”. Insomma, sull'attualità, politica, sociale, economica. Di qui però, certo impegno, che può piacere o meno, verso quei temi, cari alla sensibilità della sinistra, o meglio del mondo liberal (come ora vedremo). Sempre però, senza
forzare troppo la mano a storie e personaggi.
Ultimamente,
si è affrontato il tema transgender e della violenza sulle donne. Gli ascolti non sono calati, anzi. Ipotizziamo perciò che esista un’Italia che vota per Salvini e Meloni, capace però di restare affezionata alle storie dell’ aristopop condominio di
Posillipo.
Ieri è andata in onda la puntata natalizia, come
sempre rivolta ai piccoli: doni, buoni intenzioni eccetera, eccetera. Puntata
scritta dagli autori sulla traccia del diabolico cortocircuito temporale di “Groundhog
Day”, dove Bill Murray, giovane e cinico conduttore televisivo, è costretto
ogni giorno, a ricominciare da capo, fino alla conversione finale in bravo
ragazzo.
Sicché,
i bimbi della “Terrazza” rivivono lo stesso giorno di Natale fino a capire che le cose che contano non sono i regali, eccetera, eccetera. Fin
qui tutto bene. Se non che Giulia (l'attrice, Marina Tagliaferri, nella foto), assistente sociale e nonna affettuosissima, fornisce ai nipotini una spiegazione-narrazione dello
spirito del Natale fondamentalista. Certo, di altro segno. Diciamo repubblicano-welfarista. Quindi apparentemente al miele ma non meno laicista. Si illustra una tesi che sembra fatta apposta per scatenare le ire
del fondamentalisti religiosi, quelli che usano il presepe come una pistola carica.
Che
“favola” racconta, nonna Giulia? In
sintesi che lo spirito del Natale è
riassunto dallo stare insieme e dal volersi bene. Il che può anche essere condiviso.
Però per quale ragione “può essere”? Perché, per contro,
può risultare offensivo per il credente e provocatorio per il fondamentalista cristiano.
In
realtà, la narrazione di nonna Giulia non è laica ma laicista. Perché? Un autore laico - e attenzione, liberale - scriverebbe una puntata sul Natale senza neppure sfiorare lo spirito del Natale. Perché, a suo avviso, sarà il telespettatore ad attribuire al Natale lo spirito che ritiene più opportuno. Insomma,
ci si guarda bene dal calare dall’alto un laicismo che credendo di mettere d’accordo di tutti, rischia invece di scontentare tutti. A
cominciare dai fondamentalisti religiosi, che come noto non aspettano altro, fino ai liberali come chi scrive.
Ci spieghiamo meglio: la
differenza tra laicità e laicismo, che poi è quella tra pensiero liberale e pensiero liberal, è nella stolta pretesa di costringere le persone ad essere libere
secondo una certa idea di libertà, prescrittiva e imposta dall’alto. Che tale idea sia smielata o meno non importa. Quel che marca la differenza, è che il liberale sorvola mentre il liberal si incaponisce. Il liberale non obbliga nessuno, il liberal sì. E in quest'ultimo caso, come prova la narrazione di nonna Giulia, si tratta di un atteggiamento diffuso, soprattutto a livello mediatico-istituzionale.
Dove sembra predominare l'alfabetizzazione morale. Il che a nostro avviso è inevitabile, perché vi impera l'ideologia welfarista del "servizio pubblico". Ma questa è un'altra storia.
Dove sembra predominare l'alfabetizzazione morale. Il che a nostro avviso è inevitabile, perché vi impera l'ideologia welfarista del "servizio pubblico". Ma questa è un'altra storia.
In realtà, il
vero spirito del Natale, dal punto di vista liberale e laico, è nel suo contenuto libero. Miele, curcuma, curry, eccetera, eccetera. Tradotto: baci abbracci, oppure starsene da soli, andare sulla Luna aspettando che passi, fare dieci presepi, eccetera, eccetera. Non servono maestri e maestrine. Ognuno di noi, "metta dentro" quello che vuole.
Insomma, laissez faire, laissez passer. Tutto qui. Eppure...
Insomma, laissez faire, laissez passer. Tutto qui. Eppure...
Carlo Gambescia