Il ritorno della Turchia in Libia
Aridatece Giolitti!
Corsi
e ricorsi. La Turchia
rimetterà un piedino in Libia ( o piedone, poi si capirà). Almeno così pare. Addirittura sotto l’egida dell’Onu in difesa del governo legalmente
riconosciuto di unità nazionale.
Vi mancavano dal 1911, quando l’Italia scacciò le truppe dell’Impero ottomano, da quello che Salvemini, ignaro dell’importanza
del petrolio, definì lo "Scatolone di sabbia". E invece fu un capolavoro geopolitico di Giolitti.
Sicché
mentre l’Italia gira a vuoto, discutendo di pensioni e delle dimissioni di Fioramonti, la Turchia si propone di
sostituirla in una area geopolitica per
noi fondamentale.
Una
riflessione.
Erdogan,
non è sicuramente un liberal-democratico, ma non è neppure Hitler. Diciamo che ha
un visione della politica realista, prudentemente realista. Visione che soprattutto in politica internazionale finisce sempre per pagare. Ovviamente, Erdogan, a differenza del realista criminogeno, che ignora le conseguenze, soprattutto quelle dannose per sé, sa fin dove
può spingersi. Gioca soprattutto sulle debolezze altrui, e non si preoccupa, quando necessario, di pigiare l’acceleratore
militare. Senza però esagerare.
Conte,
invece è un nulla, neppure strutturato: senza una politica, senza una
maggioranza compatta, prigioniero delle retoriche pacifiste a sfondo mitologico. Capace solo, come
in queste ultime ore, di ribadire in giro, senza poter realmente minacciare
nessuno, il primario interesse dell’Italia
in Libia. Figurarsi le risate di Putin,
Erdogan, Trump e stati satelliti.
Il nostro non è un elogio di Erdogan, ci mancherebbe altro. Come ovviamente, la situazione italiana, dal punto di vista storico, non può essere imputata esclusivamente a Conte.
L’Italia, uscita a pezzi, moralmente parlando, da una disastrosa guerra fascista, si è ritrovata, come il manzoniano vaso di coccio tra i vasi di ferro delle grandi potenze, priva di apparati militari e di idee geo-strategiche, se non quelle di un generico pacifismo, indotto, per reazione, dalla stupida overdose di militarismo fascista. Una nazione da operetta. Dunque poco affidabile. Così ci giudicano tuttora.
L’Italia, uscita a pezzi, moralmente parlando, da una disastrosa guerra fascista, si è ritrovata, come il manzoniano vaso di coccio tra i vasi di ferro delle grandi potenze, priva di apparati militari e di idee geo-strategiche, se non quelle di un generico pacifismo, indotto, per reazione, dalla stupida overdose di militarismo fascista. Una nazione da operetta. Dunque poco affidabile. Così ci giudicano tuttora.
In
genere gli storici, facendo di necessità virtù, sottolineano l’impossibilità per
l ’Italia repubblicana di praticare una
politica estera diversa dal cerchiobottismo. Frutto di un' ambiguità di fondo, dettata da una crisi di identità innescata dalla guerra perduta. Un'assenza di padri che ha impedito scelte nette - sbagliate o no - come l’ Atlantismo, il Terzomondismo, il Neutralismo pacifista o meno. Insomma, di tutto un po’. Un Paese dove non si era (e si è) né fascisti né antifascisti, né riformisti né rivoluzionari. Salvo rare eccezioni politiche, si è sempre tirato a campare.
Ecco la nostra cifra geopolitica repubblicana. Naturalmente, si sono trascurati gli apparati militari, confidando, secondo gli schieramenti politici, negli americani o nei sovietici...
Ecco la nostra cifra geopolitica repubblicana. Naturalmente, si sono trascurati gli apparati militari, confidando, secondo gli schieramenti politici, negli americani o nei sovietici...
Oggi, di conseguenza, l'Italia è geopoliticamente debole e non conta quasi nulla. Il nostro, se si così si può chiamare, è un
realismo zoppo, perché oltre a non disporre
di alcuna forza politico-militare, non disponiamo neppure della volontà di usarla. E gli
altri paesi lo sanno benissimo. Il che
spiega perché a breve ci ritroveremo con i Turchi in Libia. Come prima del 1911.
Sapete, cari lettori, come si dice a Roma e dintorni? Aridatece Giolitti!
Carlo Gambescia