martedì 3 dicembre 2019

Hitler secondo il  professor Emanuele Castrucci
Un caso di  romanticismo politico

Ricordavo il professor  Emanuele Castrucci (nella foto sotto)  come un serio studioso di Carl Schmitt. E invece ieri, all’improvviso, scopro che egli considera Hitler un difensore della civiltà europea. Altro che i “veri mostri che oggi dominano il mondo”, come si legge.  Evidentemente mi sono perso alcune puntate della storia. Oppure no. 
Comunque sia, questa resta la sostanza del suo post  su Twitter  e  della successiva  precisazione. Almeno così pare.
Proviamo però ad approfondire.
Difesa hitleriana della civiltà europea?   In parte è vero.  Perché nell’ideologia nazista l’Europa,  ma germanizzata,  è  considerata come il baluardo contro le corrotte ideologie liberali, socialiste comuniste, pacifiste, economiciste,  manovrate dall’ebraismo mondiale e dalle oscure forze della ricchezza massonica.
Pertanto, ripeto,   è vero  che  Hitler difendeva  l’Europa,  ma in nome di un’ ideologia  ultranazionalista e razzista. Al cui seguito negli anni Trenta si aggregarono servilmente  i fascisti italiani. 
Però, per  quanto storicamente errata, o comunque molto discutibile,   si tratta di un' opinione,  e per questo motivo, va rispettata.  Non ritengo giusto che siano  presi provvedimenti di alcun genere nei  riguardi del professor Castrucci, come invece oggi si legge.
Purtroppo in Italia  la lotta politica, dopo l’irruzione sulla scena   del populismo, ha  reinnescato la bomba a orologeria  a destra come a sinistra dell’odio politico:  un angoscioso ticchettio che sta minando nevroticamente  un  discorso pubblico liberale, in verità, mai digerito da larga parte degli intellettuali italiani.     

Pertanto, il vero problema  resta  quello di spiegare perché  un professore universitario del valore di Castrucci  possa sostenere tesi del genere.
In realtà, nessuna meraviglia. Da almeno due secoli, lo sviluppo del liberalismo e della moderna società aperta,  per reazione, ha  prodotto una specie di contro-movimento sociale  e politico rivolto a difendere i valori pre-moderni della società chiusa. Al quale sono andate le simpatie di larga parte del ceto intellettuale, a destra come a sinistra.   Il buon Augusto Del Noce riteneva giustamente  che in ogni rivoluzionario dormisse  un reazionario 
Perché questa passione per i castelli in aria?  Puro romanticismo politico. Da anime  più o meno  belle che  non possono  non nutrirsi di visioni utopiche animate dalla fede  verso l' uomo nuovo del futuro, oppure   innervate dalla nostalgia  di una  passata e  mitica  età dell’oro, dimora dell’uomo della tradizione.
A sua volta, il romanticismo implica l’occasionalismo politico. Di qui l’idea che, pur di abbattere la società aperta, ci si possa affidare a qualsiasi  leader emerso improvvisamente  dalla folla, semplificando,  da Hitler a  Greta.  L’odio contro  la società aperta -  un esperimento storico in farsi,  quindi ricco di  contrasti come di opportunità   -  è talmente forte, che porta costoro  a sposare qualsiasi causa,   pur di abbatterlo.      
                                                                                                    All’origine dell’ “odio verso il sistema”, ovviamente, possono rilevarsi  moventi personali,  di carriera mancata  o meno, come pure di natura caratteriale  e di sensibilità gregaria. In realtà,  a prevalere sono quasi sempre le predilezioni ideologiche ottimamente  individuate da Tarmo Kunnas nella Tentazione fascista:  negazione del progresso, antiegualitarismo, antimaterialismo morale, nazionalismo, culto per l’azione,  solo per indicarne alcune.  
Sono propensioni intellettuali  che almeno dagli anni Venti e Trenta del secolo scorso  aleggiano trasversalmente nella cultura italiana, conferendole,  come dicevo, una forte tinta antiliberale. In questo senso, parlerei più compiutamente di "tentazione totalitaria". Siamo dinanzi  a una specie di riflesso pavloviano, che può scattare all'improvviso, quando e se  il clima politico si riveli propizio. E qui è inutile tornare sui danni "climatici",  retorici e politici causati oggi dal populismo.
Credo perciò -   il professore non si offenda -  che gli unici "mostri" intellettuali, probabilmente fino ad oggi  nascosti nella sua testa, siano legati a una visione romantica della realtà,  portata  a sopravvalutare il carattere istintivo e fantastico dell’ircocervo  politico.  Istintivo, anche nel senso, che il romanticismo può talvolta nascondersi dietro un'antropologia  realista della politica incentrata però sull'intransigente ipostasi retorica della  lotta per la vita.
Che poi,  per scomodare Berlin,  il "mago"  di turno  sia Hitler o altri,  non è  importante.  Come scriveva Schmitt, per il romantico della politica, alla fin fine, “le distinzioni politiche si dissolvono", sicché “il Califfo di Baghdad non è meno romantico del Patriarca di Gerusalemme”.
  
Carlo Gambescia