Il libro della
settimana. Nicola Vacca,Mattanza dell’incanto, pref. di Gian Ruggero Manzoni, Marco Saya
Edizioni, Milano 2013, pp. 84, euro 10,00 .
La libertà è un
rischio da accettare o un peso da sopportare? Qual nesso può esistere tra
decadenza e rifiuto della libertà? Oppure, al contrario, troppa libertà può
essere alle radici del declino, tout court, di una società storica?
A tutto ciò
pensavamo leggendo l’ultima raccolta di versi dell'amico Nicola Vacca:Mattanza dell’incanto (Marco Saya Edizionihttp://www.marcosayaedizioni.com/ ). Qual è la risposta di Nicola,
poeta civile per eccellenza? Parliamo di un poeta mai
servo di quell’ ideologia pseudio-civica dei professionisti del neo-illuminismo
tecnocratico. Giustamente classificata da Gian Ruggero Manzoni, nella densa
prefazione, tra le malattie del Novecento.
Mattanza
dell’incanto - ma si legga
"della libertà" - si articola in cinque
sezioni:, che per comodità espositiva facciamo precedere da un numero
romano: I. Appunti dal paese delle tenebre; II. Il legno storto delle
cose; III. Precipitazioni del giudizio; IV. Davanti a un punto interrogativo;
V. La parola è ferita. La raccolta va letta in chiave
ascensionale, come cammino attraverso le rovine di una
babelica civiltà che a colpi di conformistico arpione uccide la
libertà di uomini rinchiusi nella weberiana gabbia di acciaio, alla
stessa stregua - crediamo - dei tonni
imprigionati nell'ultima parte della tonnara... Una civiltà in rovina,
distesa su acque paludose, ricoperta di erbacce e di
gelatinose
piante rampicanti, che si estende
mostruosamente in altezza. La vetta non si scorge mai ,
tuttavia man mano che si procede nella salita, pur tra momenti di
sconforto, tutto sembra apparire più chiaro. Le tenebre piano piano si
diradano e il cuore delle cose pur apparendo più
forte degli stessi uomini inizia a
pulsare seguendo i ritmi di una libera
parola poetante: la sola che
può giudicare e salvare, nonostante le
ferite sanguinanti.
Ma procediamo per
gradi.
All’inizio della
marcia «spaventa anche la libertà di tacere.» (L’inverno dentro, I, 23), perché «la libertà annega/ la
deriva si apre sul baratro/ del grande zero della democrazia.» (Il grande nulla italiano, II, p. 33).
Sembra quasi prevalere la rassegnazione: « “Che ci vogliamo fare le cose
vanno così/ purtroppo bisogna accontentarsi”./ Abbiamo rinunciato a tenere gli
occhi aperti./ Ognuno preferisce la caduta/ in una solitudine feroce/ al
coraggio di lottare per gli altri./ È più comodo non scomodarsi/ che essere una
sola umanità. » (Una sola umanità,
II p. 34). Tuttavia «qualcosa resta/ ma non basta a inventare la felicità. » (L’inferno del nostro scontento, II,
38). Dal momento che « il problema è che nessuno fermerà la mano del boia.» (Un paese barbaro, II, p. 41).
E allora? «Tra la
gioia e il dolore/ tra il passato e il presente/ se immane sarà la perdita/
tanto più intensa sarà la speranza./ Intanto il male ha sempre fame.» (Animali morenti, II, 42). Ma se
non c'è salvezza che cosa resta della libertà? «Istanti/ di
agonie e anarchie/ piccoli microcosmi di gioia e dolore./ La libertà di
dissentire/ non è un gioco di società/ ma una regola della coscienza/ dell’uomo
che non vuole cadere./ Incidenti di percorso/ sul cammino del pensiero unico/
non fermeranno la voce dissonante/ di chi pugnala il tempo/ per essere sempre
un seme che germoglia.» (Essere tempo, III, 45).
Pertanto «c’è
un mondo da rifare/ spetta a noi/ trovare parole per il disgelo.» (C’è un mondo da rifare, III, 47). E in
che modo? Prendendo la giusta misura della cose: «Quando guardiamo la realtà/
con la circospezione del cuore/ fiutiamo anche il significato/ del divenire che
sa stare/ nelle appartenenze concrete. (…) Siamo dietro le finestre/ guardiamo
il paesaggio/ in attesa che riveli la sua verità. /Dal vetro opaco si intuisce/
che in tutte le cose che siamo/ c’è il giusto e l’ingiusto. (Dal vetro opaco, IV, 49). Guai
però a perdere di vista l’altro, il diverso da noi: «Non aspettiamo
che qualcuno bussi/ e rechiamoci verso l’ingresso/ una porta aperta annuncia
novità. » (Una porta aperta IV, 50).
Insomma,
libertà, poesia e socialità sono un prezioso unicum di cui il poeta è portatore
sano: «Adesso che vogliono toglierci la parola/ dobbiamo unire le nostre forze./
(…) noi poeti abbiamo il dovere/ di costruire una catena umana/ che sappia
sferrare con l’intelligenza del cuore/ il colpo mortale a coloro/ che vogliono
rinchiuderci /nel deserto delle emozioni. (…) Scrivere poesie significa/
continuare a sperare in una nuova primavera. ». (Continuiamo a sperare in una nuova primavera, IV, 51). Perché il poeta sa che
esistono due antiche certezze: la prima è che «l’amore è più forte del
dolore/ nel tempo del male.» (L’amore
nelle mani, IV, 53); la seconda è che «di tutto questo disordine/
siamo gli artefici che non si arrendono/ all'ultimo grido che spegne tutto.» (Nel deserto delle emozioni, IV, 56).
Ciò significa che « si apre l’orizzonte/ se gli occhi/ hanno la libertà di
vedere. /Cecità si riflettono/ nel cuore dei giorni amari. /Il controcanto
della luce verrà/ quando davanti a un punto interrogativo/ smetteremo di avere
paura. » (Davanti a un punto
interrogativo, IV, 60). Senza però sottovalutare,
magari con presunzione, quel che può
nascondersi dietro il «punto interrogativo». Occorre,
dunque, equilibro: la libertà è sempre nel giusto mezzo: « Non chiudiamo
le parole/ nel cerchio della ragione/ non lasciamole nemmeno/ alla deriva dei
sentimenti. /Costruiamo con gli indizi/ che la vita offre/ quel grumo di senso/
che per forza sta nelle cose.» ( Così nasce la poesia, V, 64). E questo
perché «il poeta sa sopravvivere/ alla sua stessa morte/ felice di stare nelle
cose/ dove lo preserva il verso/ che traduce la parola in eternità. »(Questo stare nelle cose, V, 65).
Senza mai piegarsi al conformismo, se poeta vero: « Vogliamo essere le
note stonate/ fuori da qualsiasi coro/ per dire basta con il veleno puro/ della
rabbia e della poesia/ alla retorica di chi ci sta rubando/ il viaggio di
esseri umani venuti al mondo/ soltanto per condividere la bellezza. » (Veleno puro, V, 68).
Anche perché «incalza la parola che interroga/ del poeta che
attraversa il vero/ nel vento e nella sabbia/ di un deserto di anime.» (Incalza la parola che interroga, V,
71). Del resto, «nella bellezza della conversazione/ il gioco del
conoscersi non finisce mai. » (La
bellezza della conversazione, V, 74).
Tuttavia, vicino
alla vetta, il poeta sembra di nuovo cedere allo sconforto, che non
è mai mancanza di coraggio, ma pura conseguenza dell' umano
riflettere sul legno storto delle cose… «Il dramma
è che non siamo noi a decidere/ ma quella combinazione di circostanze/ che può
salvarci o condannarci. » (Crudeltà
dell’imprevisto, V, 75). Una situazione instabile in cui «far
finta di essere liberi è/ l’ illusione che annuncia il naufragio.» (L’illusione, V, 76). Ma che resta
tale solo per poco. Nicola Vacca sa
che la poesia e la libertà -
"l'incanto" - hanno la stessa preziosa radice: l'
amore. Solo l'immedesimazione nell'altro potrà
salvarci: «A cosa serve la bellezza delle parole/se non trova una casa
/nel cuore e nella mente. / A cosa serve l’amore /se l’egoismo uccide la sua
libertà. /A cosa serve la vita/ se alla conoscenza si preferisce/ la
presunzione di bastare a se stessi.» (Sono
state tagliate le radici, V,
77).
La libertà per Nicola Vacca è un ossimoro: resta a un tempo, e per pochi, rischio da affrontare e peso da evitare per molti. Non c’è risposta assoluta: può culminare nell’anarchia della decadenza, ma senza libertà non esiste salvezza. Di qui, la necessità di accettare il rischio e proseguire nella scalata, fino alla vetta con il passo fermo della parola poetante capace di scuotere le coscienze e disvelare nuovo cielo e nuova terra.
La libertà per Nicola Vacca è un ossimoro: resta a un tempo, e per pochi, rischio da affrontare e peso da evitare per molti. Non c’è risposta assoluta: può culminare nell’anarchia della decadenza, ma senza libertà non esiste salvezza. Di qui, la necessità di accettare il rischio e proseguire nella scalata, fino alla vetta con il passo fermo della parola poetante capace di scuotere le coscienze e disvelare nuovo cielo e nuova terra.
Carlo Gambescia
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