Due parole
sulla
personalizzazione della politica
La
politica, particolarmente in Occidente, si è sempre mossa tra
due concezioni: governo di un uomo e governo della
legge. Il cesarismo e le grandi raccolte legislative (ad esempio, dai
giuristi romani a quelli napoleonici), indicano - certo, semplificando al
massimo - che la “personalizzazione” della politica come il culto della
“sovranità della legge” vengono da lontano. Va però sottolineato che
talvolta celebrazione di un uomo e della legge hanno marciato
insieme: il Codice Napoleonico, moderno monumento giuridico alla sovranità
impersonale della legge, porta tuttora il nome di colui che lo impose con le
armi all’Europa intera (ma volendo si potrebbe risalire a Giustiniano
e altre figure ancora più antiche di
Re-Legislatori, nei quali sono cumulate le due funzioni).
Probabilmente,
chiedendo scusa per una volta alla sociologia, i due fenomeni hanno
origini antropologiche. Perché, come alcuni studiosi
ritengono, nascono da un duplice bisogno dell’uomo:
per un verso dalla necessità profonda di “feticci”,
anche umani, cui inchinarsi, per l’altro da una vera e
propria "fame" di rappresentazioni astratte, fondate su un
principio superiore, cui ovviamente piegarsi.
È possibile trovare
una via d’uscita? E in un’epoca, tra l’altro, dove la tecnologia favorisce,
come mai nel passato, sia la personalizzazione mediatica, sia il controllo
elettronico degli adempimenti imposti dalle troppo numerose e soffocanti
leggi? No. Ovviamente, le reciproche accuse di personalizzazione e
sovranismo (o costruttivismo) giuridico, che le varie fazioni
tuttora si lanciano, riguardano più lapolitica
della logica che la logica
della politica. Detto altrimenti: pur di vincere, ogni fazione
preferisce dire il contrario di quel che asserisce l’avversario, oppure
di sposarne artatamente le posizioni per spingerlo a cambiare le sue, e
cosi via...
Anche qui, nulla di
nuovo.
Carlo Gambescia
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