mercoledì 9 gennaio 2013

Limiti? Non basta la parola...


Oggi si parla sempre più  di limiti:   allo sviluppo, alla politica, alla ricchezza, eccetera.  In realtà,  il concetto di limite è ambiguo,  perché indica un confine, un grado estremo, una estensione assegnata a un certo movimento, comunque variabile o misurabile  - ecco il punto -   secondo il metro di chi stabilisce il confine, il grado, l’estensione. Metro che può essere di tipo tecnico-scientifico,  morale,  religioso,  politico, e così via.
Insomma, il concetto di limite ha un valore convenzionale. E il valore di una convenzione, non può non dipendere che dalla volontà di coloro che vi aderiscono per varie ragioni, quattro su tutte: convinzione, timore, utilità, emulazione.
Naturalmente,  esistono limiti non convenzionali: ognuno di noi sa benissimo che un giorno dovrà morire. Il limite ( o durata limite, per quanto la si possa allungare) della vita umana  non è frutto di una convenzione: è un fatto.  Ma si può dire la stessa cosa dei fenomeni socioculturali? Le società nascono si sviluppano e muoiono? È corretto trasporre i limiti (non convenzionali) della vita umana nell’ambito dei fenomeni socioculturali? Sì, almeno secondo alcuni pensatori. No, secondo altri.
La diversità di  giudizio - semplificando al massimo -   dipende da uno specifico  fattore "giudicante" (o "pre-giudicante"): la scelta di aderire  o meno a una visione ciclica o lineare della storia umana. La ciclicità, come ripetersi degli eventi socioculturali, implica l'accettazione di  limiti, mentre la linearità, quale processo ascensionale verso sorti migliori, li esclude per principio.
Alcuni pensatori hanno tentato  di  risolvere il problema riconducendo la ciclicità ( segnata da limiti) all’interno di una visione lineare della storia (priva di limiti). Detto altrimenti:  le singole società nascono e muoiono mentre la società universale non smette mai di ascendere verso un futuro migliore.

Comunque sia, quando si parla di limiti è bene tenere presente queste tre diverse concezioni  dello “spazio” socioculturale. A chi dare ragione? O meglio, da quale parte schierarsi? La parola ai lettori. 

Carlo Gambescia

Nessun commento:

Posta un commento