Limiti? Non basta la
parola...
Oggi si parla sempre
più di limiti: allo sviluppo, alla politica, alla ricchezza,
eccetera. In realtà, il concetto di limite è ambiguo,
perché indica un confine, un grado estremo, una estensione assegnata a un
certo movimento, comunque variabile o misurabile - ecco il punto -
secondo il metro di chi stabilisce il confine, il grado, l’estensione.
Metro che può essere di tipo tecnico-scientifico, morale,
religioso, politico, e così via.
Insomma, il concetto
di limite ha un valore convenzionale. E il valore di una convenzione, non può non
dipendere che dalla volontà di coloro che vi aderiscono per varie ragioni,
quattro su tutte: convinzione, timore, utilità, emulazione.
Naturalmente,
esistono limiti non convenzionali: ognuno di noi sa benissimo che un
giorno dovrà morire. Il limite ( o durata limite, per quanto la si possa
allungare) della vita umana non è frutto di una convenzione: è un
fatto. Ma si può dire la stessa cosa dei fenomeni socioculturali? Le
società nascono si sviluppano e muoiono? È corretto trasporre i limiti (non
convenzionali) della vita umana nell’ambito dei fenomeni socioculturali? Sì,
almeno secondo alcuni pensatori. No, secondo altri.
La diversità
di giudizio - semplificando al massimo - dipende da uno
specifico fattore "giudicante" (o "pre-giudicante"):
la scelta di aderire o meno a una visione ciclica o lineare della storia
umana. La ciclicità, come ripetersi degli eventi socioculturali, implica
l'accettazione di limiti, mentre la linearità, quale processo
ascensionale verso sorti migliori, li esclude per principio.
Alcuni pensatori
hanno tentato di risolvere il problema riconducendo la
ciclicità ( segnata da limiti) all’interno di una visione lineare della storia
(priva di limiti). Detto altrimenti: le singole società nascono e muoiono mentre la società
universale non smette
mai di ascendere verso un futuro migliore.
Comunque sia, quando
si parla di limiti è bene tenere presente queste tre diverse
concezioni dello “spazio” socioculturale. A chi dare ragione? O
meglio, da quale parte schierarsi? La parola ai lettori.
Carlo Gambescia
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