Sul
suicidio assistito e dintorni…
Lucio
Magri, uomo di estrema sinistra, tra i fondatori de
“il Manifesto”, è morto a 79 anni per sua espressa volontà. Ha
scelto di passare a miglior vita, andando in Svizzera, in una di quelle cliniche
dove si pratica la “dolce morte”, o detto
pane al pane vino al vino, il
suicidio assistito.
Niente
funerali, niente necrologi, niente pubblicità, Tuttavia, ora che si
è diffusa la notizia, molte polemiche. Forse troppe. Che dire?
Sul
piano privato, della facoltà
individuale, come capacità di agire a prescindere dal quadro normativo,
crediamo sia necessaria la massima libertà.
Il suicidio è un atto, come dire, più che privato, intimo.
E, dal momento che non tutti sono
credenti in Dio o nella Vita, è
lecito, quantomeno in linea
teorica, riconoscere la facoltà
di poter mettere fine ai propri giorni... Ovviamente, senza nuocere ad
altri...
E
qui si apre il grosso problema della
ricaduta collettiva ( o sociale) del suicidio individuale… Ricaduta, non solo
materiale, nel senso del suicida che apre il gas, distruggendo un’intera palazzina con dentro vite innocenti. Bensì ricaduta morale, quale esempio per gli altri. Si pensi ai giovani,
soprattutto agli adolescenti di oggi, così fragili, quindi
a rischio. Pertanto sul piano pubblico, non è socialmente consigliabile, indicare nel suicidio, un scelta di libertà,
addirittura esemplare. E quindi
moralmente positiva. Certo, è sicuramente una forma di libertà da
rispettare, ma non da deificare, dal
momento che si rinuncia al bene più prezioso:
la vita.
Si
dirà, ma quella dei malati senza scampo che esistenza è? Giusto.
Tuttavia la scelta di non vivere
deve restare facoltà privata. Di qui la necessità di non
trasformarla, come alcuni invece pretendono, in diritto soggettivo pubblico.
Addirittura grazie al sostegno normativo
e pratico di leggi e strutture sanitarie collettive. Lo Stato, invece, non
deve interferire né pro né contro.
Ma come, qualcuno si chiederà, la legge non deve sempre perseguire
chiunque provochi la morte di un altro
uomo? E qui il problema si fa ancora più complesso. Perché per un verso, in
linea di principio, la modernità ha accresciuto
i poteri dello Stato in numerosi
campi, con grande vantaggio di
tutti. Al potere pubblico, come si legge
nei manuali, spetta il monopolio legittimo della forza. Per l’altro verso, il
suicidio, ripetiamo, è facoltà privata che
rinvia all’uso della violenza
contro se stessi, magari ricorrendo ad altri,
come nel caso dei suicidio assistito.
Come
conciliare pubblico e privato? Difficile, se non del tutto impossibile.
Si
può vietare il suicidio assistito, come
attualmente accade in Italia, collegando il monopolio legittimo della
forza, da parte dello Stato, a valori,
più o meno religiosi, di natura anti-individualistica. Tuttavia, le guerre,
proclamate per ragioni collettive, sfociano in
feroci suicidi di massa,
autorizzati dagli stati… Comunque sia, e
ci riferiamo a coloro che si oppongono al suicidio assistito, siamo davanti a
valori collettivistici, di parte, non
condivisi da tutti.
Oppure permetterlo, come in Svizzera, dove è andato
a morire Magri, cedendo però a un
individualismo radicale ma protetto dalle leggi, e in
ultima istanza antisociale. Perché, estremizzando il concetto, una società dove
si potesse praticare liberamente il suicidio, potrebbe, se per ipotesi tutti lo
mettessero in pratica nello stesso preciso momento, sparire all’istante. Anche
qui, e ora ci riferiamo a coloro che
sono favorevoli al suicidio assistito, siamo davanti a valori individualistici,
di parte, non condivisi da tutti.
Ora,
e pensiamo alle varie proposte di legge pro o contro, si può mettere ai voti una decisione riguardante la vita e la morte delle persone?
Si può decidere a colpi di maggioranza
(nell’una o nell’altra direzione) una
questione così importante?
La
democrazia può aiutare a dirimere le questioni pratiche, ma non quelle legate alla libertà morale. Eppure
non crediamo esista una terza via…
Prima o poi anche in Italia si dovrà prendere una decisione al riguardo.
Il “progresso”, come si dice “incalza”…
O
meglio, a dirla tutta, una terza via ci sarebbe. Quale?
Di accettare, quando si riterrà,
individualmente, giunto il momento,
il rischio di “fare da
soli” o con l’aiuto di qualche amico
medico compiacente. Terza via, certo,
lastricata di ipocrisia. Ma come osservò quel genio di Vilfredo Pareto, “si
finge solo ciò che a molti è bene accetto”.
Sia
chiaro, molti, non tutti…
Carlo Gambescia
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