Il
libro della settimana: Pier Paolo Poggio
(sotto la direzione di) L’Altronovecento.
Comunismo eretico e pensiero critico.
Vol. I, L’età del comunismo sovietico. Europa: 1900-1945, Jaca Book 2010,
pp. XXI-670, euro 40,00, ; vol. II, Il
sistema e i movimenti. Europa: 1945-1989 ( Jaca Book 2011, pp. XIX-810,
euro 48,00).
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La
fine del comunismo sovietico non poteva non imporre correzioni di rotta. Parliamo in particolare di un mutamento culturale che ha spinto gli studiosi,
in qualche modo legati alla
tradizione comunista, a rivalutarne per
reazione gli aspetti eretici e critici,
interrogandosi “dopo la caduta” sul valore da attribuire all’idea di
rivoluzione. Si tratta di un comunismo “altro”, sempre esistito, ma
sottaciuto, emarginato o
schiacciato sotto il peso di quel realismo,
cui non può sfuggire
qualsiasi istituzione umana, anche di
origine rivoluzionaria, perché soggetta,
come ogni altra forma organizzativa,
alla forza di gravità del politico.
Sotto
questo aspetto, un ottimo esempio di rilettura, comunque interessante, del
comunismo non omologato del XX secolo
è L’Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico. Frutto di un progetto promosso
dalla Fondazione Micheletti e da Jaca Book sotto la
direzione di Pier Paolo Poggio.
Per ora sono usciti i primi due grossi tomi: L’età
del comunismo sovietico. Europa: 1900-1945 (Jaca Book 2010, pp. XXI-670,
euro 40,00); Il sistema e i movimenti.
Europa: 1945-1989 (2011, pp. XIX-810, euro 48,00). Il piano dell’opera
prevede altri tre volumi dedicati,
nell’ordine, a Capitalismo e rivoluzione nelle Americhe (1900-1989); Anticolonialismo
e comunismo in Africa e Asia (1900-1989); Comunismo e pensiero critico nel XXI secolo.
Dal
punto di vista interpretativo il disegno dell’ opera si sviluppa intorno alla
dialettica comunismo-regime/comunismo-movimento. O se si preferisce, semplificando, sul confronto-scontro comunismo-ideale-comunismo reale. Un
conflitto che tuttavia rinvia a un’opposizione teorica ben più profonda, almeno a nostro avviso.
Quale? Quella rappresentata dall’enorme distanza che corre
tra la politica come irriducibile
conflitto amico-nemico e la politica come
pacifico allargamento progressivo della democrazia diretta. Sintetizzando, la terza via che si persegue
ne L’Altronovecento è quella di una rivoluzione senza
rivoluzionari di professione e conseguenti degenerazioni… Il che dal punto di vista ideale è
sicuramente nobile. Ma da quello reale? Non per nulla abbiamo
accennato all’inesorabile forza di gravità del politico, cui nessuna
istituzione può sottrarsi, almeno in
questo mondo.
Ad
esempio, il taglio scelto ha comportato nel primo volume (L’età del comunismo sovietico. Europa:
1900-1945), una doverosa attenzione
verso tutte le forme di comunismo
eretico, eterodosso, antistalinista e, addirittura, al confine tra sinistra e destra.
Ricordiamo nel Terzo capitolo (“Marxisti
eterodossi”) uno scritto, molto denso, dedicato a Roberto Michels (Federico
Trocini). Mentre del Quinto e ultimo
capitolo (“Un’altra idea di rivoluzione”), vanno almeno segnalati i saggi
dedicati a Sorel (Francesco Germinario), Simone Weil (Gian Andrea Franchi),
Karl Polanyi (Paolo Sensini).
Tutte
pagine molto interessanti e documentate,
ma che restano prigioniere di
un’impoliticità di fondo, dal momento che la ricerca risulta imperniata sulla
necessaria prevalenza dell’ideale sul
reale. Siamo perciò dinanzi a un
approccio che, pur ricostruendo un’importante linea di
pensiero, ritiene a priori di sapere ciò che sia bene per l’altro, senza
mettere in conto un possibile rifiuto. Omettendo,
quindi, la discussione intorno alla strutturazione politica del dissenso
esterno all’ipotesi del comunismo eretico- critico, al di fuori, ovviamente, di
qualsiasi soluzione
liberaldemocratica, respinta a
priori.
Purtroppo, i contorni della deriva impolitica si precisano ulteriormente
nel secondo volume (Il sistema e i
movimenti. Europa: 1945-1989), anch’esso articolato in cinque densi capitoli.
Scrive Poggio: « Una delle idee di fondo
dell’opera in cui è inserito il [II, ndr] volume qui presentato è che lo
schema bellico amico-nemico, la guerra
come motore ultimo della storia, rappresentano precisamente il lascito culturale delle modernità, sia
statuale sia rivoluzionaria – un lascito da contrastare e superare facendo
valere gli esiti universalistici ideali e pratici del bistrattato Novecento o, se si vuole,
dell’Altronovecento che ci prefiggiamo di far emergere ».
Ma
entriamo nel merito. Nel Primo capitolo (“Lotte politiche e sociali”), si
discute soprattutto di Sessantotto, come rivoluzione incapace
di darsi un ordine politico concreto ( si vedano i saggi di
Zancarini-Fournel, Clemente, Klimke).
Nel Secondo (“Ideologie e correnti rivoluzionarie”) e nel Terzo
(“Marxismo e rivoluzione”) si parla invece
di una rivoluzione prigioniera degli automatismi sociali ( si veda il
saggio di Bologna sull’operaismo
italiano). Infine, negli ultimi due capitoli (“Teorie critiche”
e “Alternative”) sono affrontate le
questioni normative della rivoluzione
come auspicabile capacità di fondere insieme critica della società capitalistica e critica della politica, senza però
ricorrere ai mezzi estremi « delle
modernità, sia statuale sia rivoluzionaria». La quadratura del cerchio…
E
qui, a dire il vero, il saggio più interessante è quello dedicato a
Jacques Ellul (Patrick Troude-Chastenet), perché in controtendenza con
le tesi di fondo dell’opera, vi si enuncia che l’anarchismo
per Ellul è « la “forma più completa e seria di
socialismo” », ma «essendo l’uomo quel che è, la società anarchica ideale non
è di questo mondo» .
Ovviamente, abbiamo scelto solo uno dei possibili
percorsi all’interno di due volumi comunque ricchi di stimoli, fino
al punto di prestarsi a letture diametralmente opposte alla nostra ma altrettanto lecite.
Di
certo, uno sforzo del genere, che al
momento riunisce più di ottanta
densi contributi, non può essere
ignorato. Anzi va elogiato e seguito con
la massima attenzione. Per contro,
l’esistenza di una rivoluzione capace di ignorare la forza di gravità
del politico, resta questione tutta
da discutere.
Carlo Gambescia
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