Riproponiamo il post di ieri, scritto a caldo, nel tardo
pomeriggio. Non desideriamo, per ora, aggiungere altro sulla morte di Gheddafi.
Salvo che si è trattato di un linciaggio, probabilmente, in quelle condizioni,
inevitabile. Non è sicuramente una bella pagina finale... Tuttavia, noi
occidentali che di teste sovrane ne abbiamo tagliate, e tante, dovremmo evitare
moralismi postumi... Del resto la verità, anche in ordine alla natura ferina
degli uomini, finisce sempre per vendicarsi. Andrebbe perciò evitato quel
"doppiopesismo" storico e morale, magistralmente descritto da Joseph
Ki-Zerbo, grande storico africano: "Quando un generale romano fa giustiziare
suo figlio per motivi patriottici di disciplina pro patria, si fa passare il
fatto per eroismo patriottico, quando Samori [condottiero africano del XIX
secolo] fa altrettanto, si grida alla barbarie" (Storia dell'Africa Nera,
Einaudi, 1977, p. 29). Probabilmente, Ki-Zerbo, se ci si perdona la
divagazione, si riferisce all’episodio, riportato da Livio, del console Lucio
Giunio Bruto, ottimo soldato, il quale però agli inizi del periodo
repubblicano, fece condannare a morte il figlio Tullio, reo di aver appoggiato
il ritorno dei Tarquini. E perciò presentato - in seguito, anche dalla
storiografia moderna - come grande esempio di severità pro patria. Detto
questo, va però sottolineato che il linciaggio di Gheddafi non costituisce
neppure un buon inizio. Benché - principio in cui crediamo - l'osservatore
intelligente degli eventi, se davvero intelligente, non debba mai dare nulla
per scontato (C.G.)
“Gaddafi Killed”
.
« Ho avuto sempre una simpatia vivace per il tiranno che sa
essere tiranno fino alla morte… Penso che l’onestà dei farabutti sta
nell’essere farabutti fino all’ultimo». (Palmiro Togliatti, “Il Lavoratore”, 8
marzo 1923)
-
Gheddafi è morto. Ucciso, come riferiscono i media. Ma da chi? Dai
rivoltosi? Sotto le bombe degli aerei Nato? E in quali circostanze? Combatteva?
Fuggiva? In effetti però, sono informazioni secondarie. Politicamente parlando,
la costruzione di una leggenda (nera o bianca che sia) su un personaggio
storico, implica sempre la "reinvenzione" in base alle diverse
necessità di umiliare, nobilitare, pacificare. Preferiamo perciò riflettere,
anche se brevemente, su cose più importanti.
L’ uscita di scena del Colonnello comporterà pace, democrazia e progresso, come
scrivono da mesi i media occidentali? Difficile dire.
Certo, la torta petrolifera non è piccola, quindi può darsi che le varie forze
politiche, militari, burocratiche, tutte a sfondo tribale, riescano a trovare,
in modo incruento, un utile accordo redistributivo, come dire, post-dittatura
pretoriana. Molto dipenderà dall’atteggiamento dell’Occidente, e in particolare
di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia: quel che andrebbe
evitato è di appoggiarsi o addirittura aizzare le varie fazioni libiche,
sperando, “dopo”, di poter incamerare la fetta più grossa di contratti
petroliferi.
Non va neppure escluso che in Libia il vento del deserto, da solo e quindi non
in conto terzi (si legga Occidente) , possa tornare a spirare forte, e con esso
quello di un’anarchia “tribal-petrolifera”, all'insegna del tutti contro tutti,
antica nelle affiliazioni, moderna per finalità economiche. E in quest'ultimo
caso, gli europei - a maggior ragione - dovrebbero evitare di procedere in
ordine sparso.
Di fatto, la Libia
con la detronizzazione del Colonnello, si trova davanti a un difficile processo
di transizione che impone scelte decisive. Semplificando: con Gheddafi la Libia era indipendente e
laica, ma non libera e democratica, almeno dal punto di vista del
costituzionalismo occidentale, adesso, senza il dittatore, può riscoprire la
libertà (la libertà dei moderni…), ma rischia di perdere l’ indipendenza. La
leadership libica, storicamente maturata, anche se pro o contro “con” Gheddafi,
riuscirà a comprendere l’importanza della posta in gioco e muoversi con
equilibrio e competenza tra indipendenza e libertà, senza scontentare nessuno?
Carlo Gambescia
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