Gilbert K. Chesterton, Il profilo della
ragionevolezza, Lindau 2011, pp. 254, Euro 21,00.
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Facciamo un gioco: il lettore provi ad aprire una qualsiasi storia
dell’economia per cercare anche il più piccolo accenno al Distributismo… Bene,
anzi male, perché non ne troverà uno, dicasi uno, di accenno…. Stessa cosa nei
manuali e dizionari economici. Certo, ci sarà sempre una bella e ampia voce
dedicata al problema della distribuzione del reddito, ma non alla
redistribuzione della proprietà.
Insomma, dagli economisti accademici, il Distributismo, legato ai nomi di
Hilaire Belloc, dei fratelli Chesterton, di Vincent McNabb e Arthur Penty,
continua a non essere preso in considerazione, neppure come curiosità teorica.
Perché? La risposta è nel celebre libro, pro-distributismo, di Gilbert K.
Chesterton, Il profilo della ragionevolezza ( The Outline Sanity,1921),
meritoriamente pubblicato da Lindau ( pp. 254, euro 21,00 ), nell’ottima
traduzione di Federica Giardini, attentissima alle sfumature e, soprattutto,
capace di restituire il burrascoso clima del tempo, grazie a un intelligente
apparato critico. Puntualissima anche la nota biobibliografica, opera di Marco
Sermarini, presidente della Società Chestertoniana Italiana.
Dicevamo che la risposta è nel libro. Chesterton, come scrive fin dalla prima
pagina, non se la prende con la proprietà privata, ma con l’iniziativa privata:
« Oggi un borsaiolo è considerato un campione dell’iniziativa privata, ma
sarebbe forse esagerato definirlo un campione della proprietà privata. Il fatto
è che il capitalismo e l’affarismo, nei loro recenti sviluppi, hanno predicato
l’espansione degli affari anziché la conservazione dei beni personali; nel
migliore dei casi hanno tentato di travestire il borsaiolo attribuendogli
alcune virtù del pirata. Quanto al comunismo, corregge il borsaiolo solo
vietando le borse e le tasche ». Insomma, il « bolscevico è la conseguenza e la
punizione del bucaniere» capitalista. Dal momento che entrambi puntano alla
concentrazione totale del potere sociale: i Rossi aspirano al potere dello
stato; i Bianchi, per così dire, al potere dei grandi monopoli privati.
Per contro, il Distributismo interviene direttamente sul potere sociale,
frazionando la proprietà. Rileva giustamente Chesterton: «Il punto su cui
insistiamo è che il potere centrale ha bisogno di poteri più piccoli per
esercitare una funzione di bilanciamento e di controllo, e che questi poteri
devono essere di vario tipo: individuali, collettivi, ufficiali, e così via.
Alcuni probabilmente abuseranno del loro privilegio, ma preferiamo questo
rischio a quello dello Stato o del monopolio che abusa della sua onnipotenza».
Risulta chiaro come alla base del Distributismo ci sia l’idea di sussidiarietà:
tutto quel che può essere gestito dai poteri minori, non deve mai essere
assorbito e manipolato da poteri maggiori. L’esatto contrario di ciò che accade
quando il mercato capitalistico viene abbandonato a se stesso: nell’assenza di
regole, infatti, i poteri minori sono subito fagocitati dai poteri maggiori
delle imprese più grandi e aggressive.
Dietro il Distributismo c’è il Tomismo, in particolare quello valorizzato da
Leone XIII, nonché - va onestamente riconosciuto - una visione medievaleggiante
dei rapporti sociali. Senza mai però esagerare nel culto del bel tempo che fu:
Chesterton, infatti, resta un uomo pratico, come qui: « Di seguito, per
esempio, descrivo una mezza dozzina di interventi che favorirebbero il processo
del Distributismo (…): 1) la tassazione dei contratti per scoraggiare la
vendita di piccole proprietà a grandi proprietari e per incoraggiare il
frazionamento di grandi proprietà tra piccoli proprietari. 2) Qualcosa di
simile alla legge testamentaria napoleonica e alla soppressione della primogenitura.
3) Assistenza legale gratuita per i poveri in modo che la piccola proprietà
possa sempre difendersi contro la grande. 4) la volontà di tutelare gli
esperimenti per tornare alla piccola proprietà, anche attraverso dazi e persino
dazi locali. 5) sovvenzioni per favorire il successo di questi esperimenti, 6)
Una lega per promuovere la destinazione a uso pubblico delle proprietà e alte
iniziative simili».
Se uniamo a questi punti, gli altri cavalli di battaglia del Distributismo,
come la lotta alla grande distribuzione, la cogestione e la compartecipazione
agli utili, lo sviluppo del cooperativismo, ci troviamo davanti a un progetto
sociale in rotta di collisione con quella visione darwiniana dell’economia che
sembra tuttora attrarre cattedratici e bucanieri. Il che, per contro, spiega il
velo di oblio che tuttora avvolge il Distributismo.
Basterà un libro a smuovere le acque stagnanti della cultura e della pratica
capitaliste? Difficile dire, l’accademia sembra più impermeabile che mai … E i
bucanieri dei grandi oligopoli speculativi più tronfi di prima. Tuttavia, le
cose belle e importanti non sono mai facili, richiedono impegno. E
probabilmente vanno perseguite proprio perché nobili e difficili. Il
Distributismo pare essere una buona causa: un modo per riformare il capitalismo
dei prepotenti e sottrarre persone, spesso disperate, alle pericolose sirene
del socialismo di stato.
Perché, allora, non tornare a discuterne, proprio partendo da questo bel libro,
ripetiamo, meritoriamente pubblicato da Lindau ?
Carlo Gambescia
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