giovedì 24 marzo 2011

Oggi ci sostituisce Giacomo Gabellini. E bene.
Il libro di Raffaele D'Agata, certamente interessante, ha però un difetto fondamentale. Quello di confondere il liberalismo ( nella sua generalità o politico ) con il liberismo (economico)... Il liberalismo tout court, a differenza dell'utopico e pericoloso democraticismo giacobino, spiccò il volo proprio negli anni della Restaurazione, conquistando prima la società civile e in seguito quella politica, grazie alla rivoluzione "moderata" del Luglio 1830. La stessa cosa non si può dire - a vent'anni dalla caduta dell'Unione Sovietica - dell'ideologia comunista. Finita invece nel dimenticatoio e attualmente patrimonio di lunatic fringes che la interpretano in senso assolutamente anarcoide: il grado zero o preistorico (non in senso marxiano) della politica.
E poi diciamola tutta: a prescindere dalle diverse ideologie, tra padri del liberalismo politico come Constant, Guizot, Tocqueville e nipotini di Marx e Lenin come Negri, Žižek Badiou resta una colossale differenza. Qualitativa.
Buona lettura. (C.G.)


Il libro della settimana: Raffaele D'Agata, La restaurazione imperfetta (1990 – 2010), Manifestolibri 2011, pp. 200, euro 24,00.


http://www.manifestolibri.it/novita.php



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Il professor Raffaele D’Agata, ordinario di storia contemporanea all’università di Sassari, è uno storico attento, ed estremamente portato a cogliere i minimi comun denominatori che molto spesso collegano i fatti del presente con quelli del passato. D’altra parte, se non a comprendere il presente, a che cosa dovrebbe servire lo studio della Storia? D’Agata prova allora a dare un personalissima interpretazione in chiave metastorica degli eventi che hanno avuto luogo in Russia subito dopo la caduta dell’Unione Sovietica, proponendo di colpo una strabiliante analogia con ciò che avvenne in Francia durante la Restaurazione. Lasciamo a lui la parola:
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“Si può osservare una certa somiglianza tra il discredito che cominciò a colpire la rivoluzione russa d’ottobre a partire dagli anni novanta del Novecento e quello che toccò largamente la rivoluzione francese dopo la caduta di Napoleone. In entrambi i casi, gran parte delle idee critiche e delle azioni contestative nei confronti dei fondamenti stabiliti dall’ordine sociale globalmente predominante si trovarono ad essere associate in modo più o meno appropriato con le fortune e poi con la caduta di una potenza mondiale di tipo imperiale”.
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Tuttavia, malgrado le analogie tra i due colossali eventi storici non manchino, D’Agata ritiene che la Restaurazione ottocentesca abbia comunque lasciato volontariamente ampi spazi di manovra alle idee illuministe che si erano affermate nel passato recente, mentre la "restaurazione" avviata ovunque dopo il fallimento del “socialismo reale” ha propugnato una capillare e onnicomprensiva demonizzazione di tutti i protagonisti e di tutte le dinamiche su cui era strutturata l’ideologia sovietica, sepolte sotto la valanga di lodi sperticate spese senza ritegno dai ministri del pensiero unico nei confronti del dogma liberista, presentato come un vero e proprio elisir di lunga vita per tutti coloro che “scelgano” di aderirvi.
L’autore dimostra, naturalmente, che gli orizzonti di gloria promessi da economisti e analisti politici, autentici profeti e indovini del nostro tempo, non sono altro che colossali illusioni. Il fallimento escatologico del credo liberista ha iniziato a delinearsi in corrispondenza di numerosi passaggi, come le crisi jugoslave e le due spedizioni punitive contro l’Iraq, che secondo D’Agata vanno iscritti a pieno titolo nel novero delle operazioni finalizzate ad affermare il predominio statunitense a discapito di un Vecchio Continente imbelle e incapace di andare oltre un' Unione Europea formata da una congrega di burocrati ed affaristi più realisti del re. Il non edificante quadro dipinto nel libro finisce però per tingersi di tinte leggermente più rosee, ovvero quando D’Agata tira in ballo una sorta opposizione al potere costituito di tipo camusiano per concludere che, in definitiva, non tutto è perduto:
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In profondità, tra l’una e l’altra manifestazione, qualcosa continuava ad accadere, in modo sparso, locale, determinato, e anche e soprattutto in quelle forme non militanti e apparentemente perfino non politiche in cui si manifesta il nucleo più profondo e vitale di ogni resistenza alla hybris del potere: l’adesione alla sublime necessità del quotidiano”.
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Effettivamente, esiste la possibilità che questa hybris di esiodea memoria finisca per autodistruggersi, come insegnano gli antichi sapienti greci. A noi, non rimane che osservare con freddo distacco la realtà, con l’auspicio che D’Agata non sia incappato nel peggiore degli abbagli: l’innata fede nell’uomo.

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Giacomo Gabellini


Giacomo Gabellini si interessa di filosofia, storia, politica e geopolitica. Autore di numerosi articoli che toccano i temi indicati per il blog Conflitti & Strategie (www.conlittiestrategie.splinder.com), con il quale collabora attualmente.

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