Tremonti, Sarkozy e List
Qualche giorno fa Tremonti ha presentato il
decreto che, a proposito della Parmalat aggredita da francesi, fa slittare di
due mesi l’Assemblea. Ad essere sinceri il Ministro dell’Economia ha
praticamente preso tempo, come un pugile, che dopo aver subito un paio di
cazzotti bene assestati - di quelli che quasi mettono a tappeto - si appoggi
all’avversario, pesantemente, nella speranza di tenerlo a bada… In realtà, il
vero punto della questione, al di là delle regole che verranno o meno, è quello
classico, ma oggi dimenticato, del ruolo fondamentale dello Stato nell’economia.
E in particolare, dell’ essenziale difesa dei settori strategici, come ad
esempio l’energia e la tecnologia militare. E perché no? Anche la devastante
fuga dei giovani cervelli all’estero. Su questi argomenti, Tremonti, che spesso
si vanta asserendo di aver letto e riletto Friedrich List, il padre del
protezionismo liberale dell’Ottocento e dell’unificazione economica delle
Germania, sembra invece navigare vista. Qualche malevolo parla addirittura di
un suo brancolare nel buio… Su List consigliamo di leggere, anche se in
un'ottica geopolitica, l'ottimo contributo di Giacomo Gabellini (http://conflittiestrategie.splinder.com/post/23947705/lamerica-di-friedrich-list-di-g-gabellini ).
Qui il vero rischio non è rappresentato dal
tentativo di scippo francese della nostra busta della spesa piena di latte e
derivati, quanto dal pericolo che in futuro, molto vicino, siano cinese,
indiani a fare shopping in casa nostra e di ben altri prodotti. Per non parlare
degli americani, in ribasso ultimamente, ma sempre pericolosi.
Di conseguenza la necessità, se non
l'urgenza, di una politica comune europea, capace di ritornare alla lezione di
List: massimo liberismo all’interno, ma, se non proprio protezionismo verso il
resto del mondo, massima attenzione verso furbi che vogliono venire in Europa,
per comprare e vedere ai nostri danni. Marchionne, che s’atteggia a “foresto” è
perciò avvisato. E invece che accade? Che i professori neo-liberisti che
comandano la Banca
Centrale Europea e le altre istituzioni economiche Ue,
credono peggio delle beghine nella religione del liberismo assoluto E quindi
impongono all’Europa di aprirsi non solo all’interno ma anche all’esterno. Il
che tradotto, significa colonizzazione da parte di affamate multinazionali e
giganteschi fondi sovrani extracomunitari.
Bisogna reagire. Ma come? Recuperando la
cultura di un’economia sociale mercato, attenta principalmente ai bisogni degli
europei e delle nazioni che compongono e vivificano l’Europa. Impresa non
facile, se non impossibile, in tempi in cui il neo-liberismo, come abbiamo
detto, sembra farla da padrone. Attenzione però: economia sociale di mercato,
significa, per noi italiani, economia nazionalpopolare, parola oggi in disuso,
spesso fraintesa se non addirittura maledetta.
Se ricordiamo bene, Tremonti, in uno dei
suoi libri, ha spezzato una lancia in favore di un’economia rispettosa delle
diverse identità, catturando così il consenso trasversale dell'intero fronte
politico, da destra e sinistra, leghisti compresi. E come? In chiave, per l'
appunto, nazionale e popolare. Perché non ripartire da lì? Guardando ovviamente
in prospettiva a una patria-nazione ancora più grande? Quale? La “Nazione-Europa”,
naturalmente.
Carlo Gambescia
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