Oggi desideriamo tornare sulla questione Israele-Unifil, anzi Onu. Però partendo da lontano. Come scoprirà il lettore, il ragionamento che segue è una lunga premessa a conclusioni che si ridurranno a poche righe. Premessa però indispensabile se si vuole andare alla radice delle questioni.
Non abbiamo mai creduto nell’esercizio della ragione scollegato dall’uso della forza. Il diritto, e in particolare il diritto internazionale, questa magnifica creazione dell’Occidente, da solo non basta. Almeno non per tutti gli uomini.
In ogni società storica è sempre esistita una minoranza di violenti, disadattati, incoercibili. Va però anche ricordato che l’uso della forza – in questo caso si parla però di violenza – non sempre è stato posto al servizio di un ordine politico legittimo.
La forza, nel senso di obbligare l’altro a comportarsi in un certo modo, è un puro e semplice strumento, che può avere scopi e finalità molto differenti fra di loro.
Tra la violenza usata da Al Capone e l’uso delle forza da parte della polizia per combattere un gangster esiste una notevole differenza. Percepita immediatamente dal 99 per cento dei cittadini. Il lettore si annoti il termime: “percepita”.
Il che, comunque sia, significa che quanto più un ordine politico è ritenuto legittimo dai suoi membri, tanto più è accettato l’uso legalizzato della forza. La percezione implica una precedente fase di interiorizzazione, che a sua volta rinvia alla dinamica della socializzazione. Parliamo perciò di processi sociali lunghi.
Ora qual è la percezione mondiale dell’Onu e dei caschi blu (per usare un temine chiaro a tutti)? Molto varia e complessa. Non c’è unanimità di giudizio, per alcuni i caschi blu sono soldati di pace, per altri soldati e basta. Quindi, in quest’ultimo caso, nemici o amici in base alle opportunità politiche del momento. Inoltre, poiché di regola, i caschi blu rifuggono dall’uso della forza, nel senso che “si interpongono” tra le parti in conflitto, sono spesso giudicati da tutti come ingombranti se non addirittura inutili.
L’Onu, per contare veramente, dovrebbe trasformarsi nell’emanazione, non come oggi di un precario equilibrio, per giunta di facciata, tra le principali potenze mondiali, ma di uno stato mondiale, dotato di esercito, forze di polizia, codici penali, magistratura. Solo a quel punto avrebbe senso la definizione di “stato canaglia”, da mettere nella condizione di non nuocere, come un qualsiasi gangster.
La prova che invece le cose non funzionano è data proprio dal fatto che l’accusa di “stato canaglia” è usata come una specie di risorsa politica e propagandistica. Un’ accusa che le parti in lotta, nelle varie parti del mondo si scambiano reciprocamente.
Il che, come nel caso di Israele, è fonte di ingiustizia, perché la definizione di “stato canaglia” estesa a Gerusalemme, come purtroppo si legge, è pura propaganda antisemita. L’uso della forza da parte di Israele, che ha subito un’ aggressione da parte di forze terroristiche, è moralmente giusto e legittimo e legale dal punto di vista del diritto all’ autodifesa.
Pertanto ad essere dalla parte del torto è Unifil, che di fatto protegge un’organizzazione terroristica, che usa Unifil, come una specie di macro-scudo umano per le sue installazioni militari segrete, impedendo a Israele di esercitare un suo giusto diritto. Insomma, piaccia o meno, Unifil è al servizio della propaganda antisemita e dei nemici di Israele.
E coloro che protestano, a partire dall’Italia, per la fermezza con cui si batte Israele, sono oggettivamente alleati con Hezbollah.
Si dirà, e concludiamo, perché allora non costruire uno stato mondiale?
A parte il fatto che le società sono sempre frutto di un ordine spontaneo, diciamo che fino a quando non cambierà la percezione degli uomini verso l’idea di comunità mondiale istituzionalizzata, una specie di superstato, sarà molto difficile collegare ragione e forza. I pessimi risultati delle costruzioni sulla sabbia, come l’Onu, sono sotto gli occhi di tutti.
Una via per preparare un terreno del genere può essere quella dell’interazione economica, della libera creazione di un mercato mondiale, frutto benefico del libero scambio – insomma di un ordine spontaneo – tra miliardi di uomini e donne di tutto il pianeta.
Purtroppo, il ritorno del nazionalismo, pardon oggi si chiama sovranismo, non sembra promettere nulla di buono. Perciò, in un mondo in cui la forza, anzi la violenza, addirittura sotto l’ipocrita protezione dei caschi blu, come in Libano, sembra prevalere sulla ragione, bene fa Israele a farsi rispettare.
Carlo Gambescia
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