Non vorremo trattare un argomento delicatisssimo come quello del suicidio assistito, “alla” Vannacci, per battute, in termini di retorica da “Bar Sport”: tipo ci penso io, ho la soluzione eccetera.
Però non possiamo negare l’effetto tragicomico che provoca in noi leggere che “l’azienda sanitaria universitaria giuliano isontina ribadisce il suo ‘no’ a Martina Oppelli, l’architetta triestina di 49 anni che ha chiesto di accedere al suicidio medicalmente assistito” (*).
Sia subito chiaro: condividiamo totalmente la scelta di Martina Oppelli.
Ci spieghiamo meglio.
Il lato comico è rappresentato dalla commissione di medici burocrati che si riunisce per decidere della vita della morte di un individuo. Burocrati che dopo il cappuccino con il cornetto o dopo il caffè post prandiale devono prendere decisioni, intorno a un tavolo, sulla vita e sulla morte di un’altra persona, magari pensando distrattamente a quando pagare la prossima rata straordinaria di condominio piovuta sull’economia domestica.
Il lato tragico è nel fatto che tutte le chiacchiere bioetiche e religiose di cattedratici, esperti a vario titolo, teologi, giuristi – pensiamo a fior di convegni, riunioni di commissioni, dotte pubblicazioni, gettoni di presenza, rimborsi, diarie, eccetera – si riducono al sì o al no di una ASL: di burocrati con la testa rivolta ad altro. All’insegna del come se. Cioè del come se nessuno sapesse come funzionano le ASL…
E qual è il correttivo recentemente proposto, non sappiamo ancora se approvato o meno, per snellire il lavoro delle commissioni? Il pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nel prendere la decisione.
Capito? Ci si muove sul piano delle penali. Del sanzionamento contrattuale, si recupera il diritto privato, dopo averlo massacrato. Come? Con l’avocazione allo stato di un diritto fondamentale dell’uomo.
Non parliamo del “diritto di morire”, curiosamente, così denominato sia dai detrattori che dagli estimatori. Ma del potere di godimento e disposizione del proprio corpo. Un diritto reale. Un diritto di proprietà del proprio corpo (risparmiamo al lettore il latinorum). Un diritto che non appartiene a un presunto “stato etico”, né a nessun’altra entità fisica e metafisica. E che precede e sovrasta, come diritto naturale, il dettato di qualsiasi carta costituzionale, conservatrice o progressista che sia.
Una volta accettato questo, viene meno tutto, a partire dalla distinzione, spesso di lana caprina, tra eutanasia e suicidio assistito. Come pure il ricorso – semplificando – alla burocrazia biomedica: parolone, che soprattutto in Italia, dove prevalgono un sistema sanitario pubblico e una visione statalista della salute, rinvia di fatto, come detto, al burocrate con il sapore di caffè in bocca e la testa altrove.
A costo di essere accusati di “vannacciate”, però liberali non fasciste, proponiamo la nostra soluzione.
Per morire liberalmente, senza mai entrare nelle motivazioni, proprio per non ricadere nell’accoppiamento poco giudizioso tra la fine esplorazione della psiche umana e la rozza burocrazia sanitaria, potrebbero bastare: 1) un semplice atto notarile, dove si dichiara che il sottoscritto, nel pieno della sue facoltà, eccetera, eccetera; 2), dopo di che, con lo stesso atto, in un contesto di depenalizzazione totale del reato di istigazione al suicidio, ci si rivolge a un medico, che tecnicamente, eccetera, eccetera. Oppure 3) si ripone l’atto nel cassetto, anche notarile (semplificando), per poi utilizzarlo, sempre su base volontaria, quando sarà il momento, magari delegandone “la notificazione” al congiunto o persona di fiducia in caso di malattia incurabile, eccetera, eccetera.
Ovviamente, il sistema può rivelare delle falle: le persone di fiducia possono approfittarne per ragioni poco trasparenti, non pochi medici (siamo in un’Italia ancora confessionale) possono qualificarsi obiettori di coscienza. Non esiste la perfezione. Però non scorgiamo altro sistema per evitare la tirannia del burocrate con potere di vita e di morte sull’individuo.
La libertà per molti è un peso. Talvolta sospettiamo che non sia un “valore” per tutti. Spesso gli essere umani, pur di essere sollevati dalla responsabilità della decisione individuale, preferiscono delegare, lasciare che siano gli altri decidere. Di qui - anche - l’origine dell’invadenza “statalista” o welfarista. Lo stato intrusivo che si occupa di noi dalla culla alla tomba. Che pretende di “regolamentare”, inventandosi un inutile sub-diritto, anche il suicidio. E invece come abbiamo visto, lo stato può essere tranquillamente fatto fuori. Ognuno di noi è “proprietario” del suo corpo. Basta un notaio.
Fermo restando, ovviamente, che in alcuni settori, anche per ragioni di natura quantitativa, la delega è necessaria, anzi vitale. Si pensi ai sistemi politici rappresentativi.
Ma, quando si tratta della vita e della morte, cioè della suprema scelta di libertà, perché non si chiede di venire al mondo, ma si è liberi di “uscirne”, deve essere l’individuo “proprietario” a decidere.
Per aprire una parentesi: non siamo davanti e fenomeni come la guerra, perfino la guerra atomica, dove l’individuo, l’individuo Mario Rossi, checché ne dicano i pacifisti, non ha la certezza di morire (pensiamo, solo per fare un esempio, a quella parte di umanità, anche minima, ma sopravvivente, perché richiusa in bunker e grotte o residente, per sua fortuna, in zone non contaminate ) . Di qui, sia detto per inciso, la stupida idea, sempre pacifista, soprattutto se applicata alla guerra convenzionale, della guerra come di un “suicidio collettivo”.
Chiusa parentesi. Siamo invece davanti a un fenomeno, come quello del suicidio individuale, dove invece la certezza di morire esiste: "Decido io non un altro", non un generale insomma (qui si riaprirebbe la parentesi a proposito del diritto pacifista di obiezione, che rinvia al rifiuto dell'uso della violenza, e che per coerenza andrebbe esteso anche alla violenza contro se stessi. E invece non sempre è così. Spesso il pacifista è favorevole al sucidio assistito "via" ASL... Ossia allo stato armato di siringa... Ma si tratta di una questione che esula dall'argomento di oggi).
Riassumendo, come detto, si deve parlare di un assoluto e diretto potere di godimento e disposizione della propria vita.
Si faccia attenzione, lo stesso individuo Mario Rossi può anche decidere di non suicidarsi, per sue ragioni religiose, di rimettersi alla volontà di un’entità metafisica. E per questo non va assolutamente criticato o condannato. Ma sempre l'individuo Mario Rossi può decidere il contrario, per altre ragioni, per lui valide.
Il punto allora qual è? Che ogni individuo deve essere lasciato libero di poter decidere se e quando, come, dove e perché morire.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento