Il mito politico ha una sua grande forza morale. Se poi esista un nesso tra mito, come percezione di un’immagine, pregna di energie, con conseguente passaggio all’azione diretta, resta cosa difficile da dire.
Però il mito indica soprattutto i valori condivisi e diffusi in un certo periodo storico. Valori in cui si crede. E collettivamente.
Si pensi alla pacchiana mitografia fascista e mussoliniana, mai del tutto scomparsa dai muri delle città italiane.
Oppure all’inquietante fascino delle croci uncinate. Stesso discorso si può fare per la lettera A (cerchiata) di anarchia. Oggi sono tornati di gran moda i murales, che risalgano alla stabilizzazione politica delle rivoluzioni messicane, laiciste e semisocialiste, degli anni Dieci del Novecento.
Si parla anche di grafit art, di grafitismo, di arte di strada, dalla colorazione socialista e popolare. Ieri, con un cerimonia ufficiale, si è “scoperto”, come si sarebbe detto un tempo, un "mural" romano, dedicato a Michela Murgia: si vede la scrittrice di semiprofilo, sullo sfondo di una bandiera Lgbtqi+.
In questo panorama mitografico, che va dal sostegno della causa palestinese alle varie battaglie ecologiste e anticapitaliste, c’è un grande assente: il "mural" occidentalista. Detto altrimenti: il "mural" dalla parte dell’Occidente. Soprattutto in momento in cui Europa e Stati Uniti affiancano militarmente l’Ucraina di Zelensky contro l’aggressore russo. Sfido il lettore a individuare in tutto l’Occidente un "mural" pro Zelensky o che celebri la Nato. Ne esistono di contrari. Ma a favore nessuno o comunque in quantità rlevanti dal punto di vista della “battaglia” mitografica.
Sembra incredibile, ma l’Occidente, grande fabbricatore di miti musicali, cinematografici, letterari, eccetera, rifugge da una mitografia che qualifichi l’Occidente per quello che è: una grande forza di libertà in tutti i sensi, politici, economici, culturali. L’ultima grandissima mitografia pro Occidente risale alla Seconda guerra mondiale. Come mostra l’illustrazione di copertina. Perché?
Crediamo che la causa del declino mitografico dell’Occidente sia nel senso colpa abilmente coltivato dalla cultura conservatrice e progressista. Si dividono una specie di balconcino rigoglioso, pieno zeppo di fiori ma venefici.
Il conservatore, di regola, è un antiliberale. Non ha mai accettato i valori liberali. Al punto talvolta di sposare la causa della reazione fascista. Il progressista invece li ha sempre considerati superati, o comunque da superare. Di qui lo sviluppo a destra come a sinistra di un minimo comun denominatore antiliberale.
Il liberalismo è bollato come il nemico del dio patria e famiglia (valori condivisi dai conservatori e venerati dai reazionari), e delle libertà sociali se non socialiste (valori difesi dai progressisti e propugnate anche con le armi dai comunisti).
Di qui quel vergognarsi – ecco il senso di colpa – di alcuni secoli di grandi trasformazioni liberali (parlamenti e liberi mercati, innanzittuto), visti da conservatori e reazionari, come distruttori dei valori tradizionali, e dai progressisti come inutili conquiste formali, negatrici delle libertà sostanziali dei popoli, dei lavoratori, eccetera, eccetera.
Ma come trovare un legame diretto tra l’assenza di murales pro Zelensky e il senso di colpa coltivato da conservatori e progressisti, sotto lo sguardo premuroso di fascisti e comunisti?
Zelensky crede, e fermamente, in quelle trasformazione liberali, disprezzate invece da conservatori e progressisti. Polvere da nascondere sotto il tappeto. Motivo di vergogna. Il che ha tramutato Zelensky in una specie di nemico naturale – semplificando – dell’artista di strada, che a sua volta non è altro che un utile idiota che favorisce il Convitato di Pietra della crisi, non solo mitografica, dell’Occidente: il fascio-comunista (per dirla giornalisticamente).
Ovviamente, per ora, le strutture militari e in parte politiche dell’ Occidente resistono, ma senza l’appoggio di una specifica mitografia. Che, ad esempio, nella Seconda guerra mondiale, ebbe la sua importanza. Si combatte – Zelensky a parte – senza credere nei valori per cui si combatte. E la mitografia ne risente. Sotto questo aspetto il presidente ucraino è l’ultimo portabandiera dell’Occidente. Che però non trova il suo "mural".
Duole il cuore dirlo, ma l’Occidente euro-americano ricorda, secondo versi attribuiti a vari poeti, quel “ prode cavaliere che non s’era accorto, che andava combattendo, ed era morto”.
Detto altrimenti, l’Occidente, ferito a morte, continua a combattere.
Fino a quando?
Carlo Gambescia
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