Riflessioni (anche su Sanremo)
Il sociologo e la gente
Il
titolo del nostro articolo riprende quello di un libro importante di José Ortega y
Gasset, L’uomo e la gente (El Hombre y la Gente , "Obras", VII), e non per caso. Chi scrive ha però sostituito il sociologo all’uomo. E in un senso preciso. Chi studia la gente come inquadra la gente? Che tipo di rapporto ha con la gente?
Ma
prima di tutto cos’è la “gente” per
Ortega? La gente è “chi dice quel che si
dice”. La gente, la società, la
collettività, sono tali “nella misura in
cui io penso e parlo, non per mia propria ed individuale evidenza, ma ripetendo
quel che si dice e si discute, la mia vita cessa di essere mia, cesso di essere
il personaggio individualissimo che sono, agisco per conto della società: sono
un automa sociale, sono socializzato”
(*) .
E
quel che “si dice”, non è buono né
cattivo, è… Esiste, fa la storia, talvolta suo malgrado e al contrario. Pertanto il sociologo deve sempre indirizzare le sue
antenne verso “chi dice quel che si
dice”: la gente.
E
qui viene il bello, perché il punto è proprio il "come". Quale atteggiamento deve assumere il sociologo verso la gente?
Dal momento che quel che “si dice” raramente risponde al criterio di verità (in
senso scientifico, del capire), ma a quello dell’opinione (in senso sociale,
del credere)?
A grandi linee si danno tre casi.
Può
assumere un atteggiamento di superiorità, di chi la sappia lunga sulla “gente”,
una posizione, per così dire,
scientifico-cinica, del genere “ da che mondo è mondo…”. Oppure sposare l’atteggiamento di chi voglia
aiutare la “gente” a conoscere meglio se stessa, quindi a cambiare, distinguendo
tra opinione e verità. Siamo dinanzi a una
posizione di tipo scientifico-riformista,
sulla falsariga del “possiamo migliorare tutti insieme”. Infine, il
sociologo può assumere l’atteggiamento di chi, scambiando la verità con una
delle tante opinioni in discussione,
voglia imporla alla “gente” per
il “suo bene”. Siamo davanti a una
posizione di natura scientifico-rivoluzionaria,
del tipo “fidatevi di noi perché cambieremo
il mondo”.
Per
fare qualche nome, Ortega gravita per
tutta la vita tra il cinismo scientifico e il riformismo scientifico. Max Weber
resta l’esponente classico del riformismo scientifico, come Pareto del cinismo
scientifico, Marx, il Marx sociologo suo
malgrado, rimane il massimo esponente di una sociologia scientifica e rivoluzionaria
al tempo stesso.
Chi
scrive - tanto per essere onesti - si sente, a metà strada tra Weber e Pareto, in qualche misura assai
vicino a Ortega (si parva licet…).
Però in concreto cosa significano questi tre
atteggiamenti? Facciamo un esempio banale: il Festival di Sanremo.
Per il sociologo cinico la “gente” da che mondo e
mondo si è sempre divertita in modo semplice se non volgare, quindi non c’è
nulla di strano che si facciano le due di notte, per sapere con andrà a finire il Festival.
Per
il sociologo riformista, Sanremo invece può essere un ottimo veicolo per
trasmettere valori capaci di migliorare la “gente”. Quindi serietà e tutti a letto alle undici di
sera.
Per
il sociologo rivoluzionario, Sanremo non è altro che una versione
dell’oppio dei popoli, quindi va cancellato dal palinsesto, tutti a letto alle nove di sera.
Come il lettore avrà compreso la cattiva sociologia ha un versante pedagogico
che va assolutamente evitato. Oggi, purtroppo, la sociologia serve due padroni: o il
braccio disarmato del welfare state o quello armato della rivoluzione. La “gente” o viene coccolata o catechizzata. Ovviamente anche l'approccio cinico non aiuta perché spesso porta con sé il disprezzo per la "gente". Però probabilmente fa meno danni degli altri due approcci.
Che altro dire? Hic sunt leones.
Che altro dire? Hic sunt leones.
Carlo Gambescia
(*)
Josè Ortega y Gasset, L’uomo e la gente,
Giuffrè, Milano 1978, p. 153.