lunedì 10 febbraio 2020

Giornata del Ricordo e memoria collettiva
 Il totalitarismo 
e i suoi amici

Esiste una memoria collettiva? E se esiste,   come funziona?  A questo pensavamo  leggendo opinioni e commenti sulla  Giornata del Ricordo in  memoria  delle vittime delle Foibe,  istituita, storicamente parlando, abbastanza di recente rispetto ai fatti: per legge  nel 2004.  Lo stesso discorso può essere esteso alla Giornata della Memoria, per le vittime dell’Olocausto, introdotta  nel 2000. 
Evidentemente, l' istituzionalizzazione della memoria dei due eventi indica un mutamento di mentalità. Sicuramente positivo.   
Diciamo subito che la memoria collettiva, quella che si tramanda oralmente,  si perde con la scomparsa dei testimoni diretti e di coloro che appresero  dai testimoni diretti. Ovviamente, la memoria può essere istituzionalizzata, nel senso,  che la memoria di  certi  fatti  viene non più trasmessa dai testimoni diretti e indiretti, ma da istituzioni, quali  entità sociali che vanno oltre la vita degli uomini. Di regola,  la memoria istituzionalizzata  interviene quando i fatti da trasmettere sono reputati importanti dal punto di vista della trasmissione generazionale secondo una certa scala di valori che dovrebbe  riflettere un sentire condiviso. 
Questa è la regola. Ovviamente dove i valori comuni non sono condivisi, non può darsi memoria comune.  Va precisato che i  valori comuni sono i valori dominanti, nel senso dei più diffusi.  Ad esempio, nell’ Italia liberale, e anticlericale, la cosiddetta Breccia di Porta Pia era celebrata ogni  Venti Settembre con imponenza di eventi e commemorazioni. Oggi invece è quasi dimenticata  perché l’anticlericalismo non è più un valore diffuso e condiviso.  È un bene?  È un male?  È così. Le idee cambiano, e con le idee, il sentire comune, eccetera, eccetera.
Certo, applicare questo ragionamento sociologico  a un evento epocale come l’Olocausto,  può apparire  improprio e perfino offensivo.  E applicarlo alle Foibe? Diciamo che pur trattandosi di eventi dalle origini profondamente  differenti ( il primo ha  radici antiche  nel antisemitismo, il  secondo nel  moderno nazionalismo totalitario), riflettono entrambi un atteggiamento di rifiuto e di odio verso l’altro. Un fatto che sicuramente non depone a  favore della normale convivenza civile. Di qui l’importanza sociale di conservarne memoria, anche istituzionalmente: perpetuando il ricordo dell'Olocausto e delle Foibe si promuovono  le ragioni della società liberale e aperta.   
               
Pertanto scontrarsi politicamente, come purtroppo ancora avviene, soprattutto per iniziativa della destra, sulla prevalenza delle vittime degli uni sulle vittime degli altri,  oltre che avvilente, influisce negativamente sulla formazione di una comune memoria antitotalitaria. Perché il punto della questione è come difendersi dagli amici del totalitarismo, che non sono pochi, a destra come a sinistra.  Non dimentichiamo, che secondo Hannah Arendt, grandissima pensatrice dalle radici ebraiche, il  nazionalismo e l’ antisemitismo sono due essenziali componenti del totalitarismo.
Qui il vero problema è rappresentato dal fatto che  il giudizio negativo  sul totalitarismo non è tuttora patrimonio comune. Molti assolvono il comunismo, altri  sminuiscono le colpe del fascismo e altri ancora, incuranti del ridicolo,  giudicano  uno stato democratico come Israele, senza eguali in Medio Oriente, alla stregua di  stato totalitario. Ovviamente, soprassediamo sulle distinzioni di lana caprina tra antisionismo e antisemitismo.
Come si può capire da queste assurdità,  il pericolo totalitario  non è vissuto da tutti nello stesso modo. Il che purtroppo divide. Anche la memoria.


Carlo Gambescia