Giornata del Ricordo e memoria
collettiva
Il totalitarismo
e i suoi amici
Esiste una memoria collettiva? E se esiste, come
funziona? A questo pensavamo leggendo opinioni e commenti sulla Giornata del
Ricordo in memoria delle vittime delle Foibe,
istituita, storicamente parlando, abbastanza di recente rispetto ai
fatti: per legge nel 2004. Lo stesso discorso può essere esteso alla
Giornata della Memoria, per le vittime dell’Olocausto, introdotta nel
2000.
Evidentemente, l' istituzionalizzazione della memoria dei due eventi indica un mutamento di mentalità. Sicuramente positivo.
Diciamo
subito che la memoria collettiva, quella che si tramanda oralmente, si perde con la scomparsa dei testimoni
diretti e di coloro che appresero dai
testimoni diretti. Ovviamente, la memoria può essere istituzionalizzata, nel
senso, che la memoria di certi
fatti viene non più trasmessa dai testimoni diretti e indiretti, ma da istituzioni, quali entità sociali che vanno oltre la vita degli uomini. Di regola, la memoria
istituzionalizzata interviene quando i
fatti da trasmettere sono reputati importanti dal punto di vista della trasmissione generazionale secondo una certa scala di valori che
dovrebbe riflettere un sentire condiviso.
Questa
è la regola. Ovviamente dove i valori comuni non sono condivisi, non può darsi
memoria comune. Va precisato che i valori comuni sono i valori dominanti, nel senso dei più
diffusi. Ad esempio, nell’ Italia
liberale, e anticlericale, la cosiddetta Breccia di Porta Pia era celebrata
ogni Venti Settembre con imponenza di
eventi e commemorazioni. Oggi invece è quasi dimenticata perché l’anticlericalismo non è
più un valore diffuso e condiviso. È un
bene? È un male? È così. Le idee cambiano, e con le idee, il
sentire comune, eccetera, eccetera.
Certo,
applicare questo ragionamento sociologico
a un evento epocale come l’Olocausto,
può apparire improprio e perfino
offensivo. E applicarlo alle Foibe?
Diciamo che pur trattandosi di eventi dalle origini profondamente differenti ( il primo ha radici antiche nel antisemitismo, il secondo
nel moderno nazionalismo totalitario), riflettono entrambi un atteggiamento di rifiuto e di odio verso l’altro. Un fatto che sicuramente non depone a favore della normale convivenza civile.
Di qui l’importanza sociale di conservarne memoria, anche istituzionalmente: perpetuando il ricordo dell'Olocausto e delle Foibe si promuovono le ragioni della società liberale e
aperta.
Pertanto
scontrarsi politicamente, come purtroppo ancora avviene, soprattutto per
iniziativa della destra, sulla prevalenza delle vittime degli uni sulle vittime
degli altri, oltre che avvilente, influisce negativamente sulla formazione di una comune memoria
antitotalitaria. Perché il punto della questione è come difendersi dagli amici del
totalitarismo, che non sono pochi, a destra come a sinistra. Non dimentichiamo,
che secondo Hannah Arendt, grandissima pensatrice dalle radici ebraiche,
il nazionalismo e l’ antisemitismo sono
due essenziali componenti del totalitarismo.
Qui
il vero problema è rappresentato dal fatto che il giudizio negativo sul totalitarismo non è tuttora patrimonio comune. Molti
assolvono il comunismo, altri
sminuiscono le colpe del fascismo e altri ancora, incuranti del ridicolo, giudicano uno stato democratico come Israele, senza eguali in Medio Oriente, alla
stregua di stato totalitario. Ovviamente, soprassediamo sulle distinzioni di lana caprina tra antisionismo e antisemitismo.
Come
si può capire da queste assurdità, il
pericolo totalitario non è vissuto da
tutti nello stesso modo. Il che purtroppo divide. Anche la memoria.
Carlo Gambescia