La sociologia e la questione del male
nel mondo
Chiamale se vuoi disfunzionalità…
La
sociologia non mette voti
Ogni
tanto capita che durante un incontro tra amici, ma talvolta anche pubblico,
ultimamente nel corso di un confronto con alcuni religiosi, di sentirmi
chiedere che cosa sia il male nel mondo
per un sociologo.
Domanda
a dir poco imbarazzante, perché la sociologia, nonostante le avventurose e
romantiche origini storiche ( De Maistre, De Bonald, Comte e Sansimoniani), non è assolutamente una scienza morale, non mette voti
ai comportamenti sociali. Può
però valutare la disfunzionalità di un sistema sociale dal punto di vista dei
suoi valori prescrittivi: di ciò che si
deve fare perché un sistema sia coerente con le sue scelte e motivazioni
socialmente approvate.
Il
male disfunzionale
Ad
esempio, un sistema liberale non può mettere in prigione le persone per le loro
idee. La punizione della libertà di
parola e pensiero è disfunzionale rispetto ai valori prescritti. Il che però vale in linea principio,
perché esistono correnti di pensiero contrarie alla libertà di parola,
che, qualora diventassero dominanti, snaturerebbero, proscrivendoli, i valori della società aperta. Pertanto i nemici della libertà di parola e pensiero sono
disfunzionali alla società liberale. Rappresentano
il male, male disfunzionale, ovviamente. Insomma, anche la società liberale non può non difendersi dai suoi nemici, pena la sua stessa esistenza.
Dal
punto di vista sociologico vale però
anche il contrario: in un sistema sociale dominato, semplificando, da valori illiberali,
il fattore disfunzionale - il male, se si vuole - è rappresentato dalla diffusione di valori
liberali. Di qui, la necessaria attività difensiva della società chiusa verso
tutto ciò che può metterla in pericolo.
La
questione del relativismo
Ripeto,
si tratta naturalmente di una interpretazione sistemica del male, che non
guarda ai suoi contenuti assoluti, ma agli aspetti funzionali e disfunzionali.
Può
essere sufficiente? Di solito i miei
interlocutori, una volta ascoltate queste tesi, mi accusano di relativismo. E in effetti
è così. Ragionare di disfunzionalità, ammesso e non concesso che tutti i comportamenti sociali siano improntati
alla funzionalità sistemica, recide alle origini qualsiasi opzione valoriale,
cioè di un valore superiore a tutti gli altri.
La
moralità come un lusso…
Il
punto è che la società, nella sua concretezza, resta un coacervo di valori e interessi, spesso
opposti, valori e interessi che gli individui perseguono liberamente, senza
porsi troppi problemi di coerenza prescrittiva rispetto ai valori dominanti.
Soprattutto
le questioni morali per la maggioranza delle persone sono un lusso, o comunque qualcosa, che se non condensato nel
diritto positivo, penale e civile, si trasforma in quello che una volta era l’abito
buono da indossare nelle grandi occasioni.
Sicché il male e il bene a livello microsociale non sono meno afferrabili del male e bene a livello macrosociale, se non, come sottolineato, quale fattore disfunzionale sistemico, entro
certi limiti microsociologici, come appena ricordato.
Macro,
micro e guerra
C’è
però un aspetto del male, che a livello micro e macrosociologico, se aiutato dal giudizio storico, può essere preso in considerazione. Quello del rapporto tra decisioni politiche e
mutamento storico.
Esistono,
storicamente parlando, personaggi (monarchi, uomini di stato, condottieri e
generali) che assumendo macrodecisioni hanno inciso sulle microdecisioni di milioni
di individui, generando un semplice mutamento di contesto, come ad esempio il passaggio dalla pace alla
guerra.
Cambiare,
e in peggio, anche temporaneamente, la
vita delle persone, ad esempio
dichiarando guerra, può essere giudicato
un male. Che gli uomini di solito temperano con la promessa di una vita
migliore dopo la guerra. Il che rinvia
alla prudente logica del male minore: “Facciamo questa guerra, per impedire un
male maggiore, poi però staremo tutti meglio”.
La
filosofia della guerra
In
realtà, la differenza tra il male minore e maggiore è rappresentata dalla filosofia di fondo che
si cela dietro la decisione di fare la guerra. Se sullo sfondo c’è una
dichiarata filosofia bellicista, che punta a costruire le proprie fortune sulla
conquista militare, siamo in presenza del male. Come dire? Del male
strutturato.
Certo,
storicamente parlando, non è facile attribuire una filosofia militarista, quindi
una “struttura” del (e al) male: la
storia è un groviglio di guerre difensive, preventive, aggressive. Alcune unità
politiche però, per tradizioni interne, sono più predisposte di altre. Potrei
fare dei nomi. Preferisco però siano i
lettori a pronunciarsi.
L’ipotesi
conflittualista
Resta
infine l'ipotesi, formulata dalla scuola
sociologica conflittualista, che alla base di ogni ordinamento politico e in particolare dello stato, vi sia la conquista
militare e l’assoggettamento dei vinti. Pertanto
il male sarebbe alle origini di ogni
società politica.
Insomma,
come si può capire, il male nel mondo
esiste, tocca aspetti macro e
soprattutto micro sociologici, ma è difficile individuare, soprattutto dal
punto di vista delle colpe morali. i suoi agenti sociali. Ho accennato al fattore bellicista. Ma, come detto, preferisco non fare nomi… Per oggi.
Carlo Gambescia