Dispiace dirlo ma Prima Pagina, rassegna stampa di
Radio 3, è in realtà la mattutina rassegna dei
peggiori vizi del giornalismo italiano: faziosità ( e non importa
se di destra o sinistra ) e strizzatine d’occhio
o velenosi silenzi verso colleghi e politici in base
alle egocentriche convenienze del conduttore settimanale.
Insomma, un brutto spettacolo all'insegna della citazione mirata,
ovviamente quasi sempre a
servizio del familismo
individuale e in subordine di cordata.
Certo, per accorgersi e comprendere il senso riposto dei
messaggi cifrati si deve essere addetti ai lavori e
quindi (ri-)conoscere personaggi, testi recitati e principalmente i sottotesti…
E qui giunge a proposito il post di oggi scritto da Roberto
Buffagn, il quale pur non essendo giornalista, di teatro (soprattutto
se "esistenziale") e storia patria un pochino se ne
intende. Buona lettura. (C.G.)
L’ Italia® di Roberto Buffagni vs
di Roberto Buffagni
In questi giorni sto lavorando in teatro, e osservo i
consueti orari di lavoro teatrali. Insomma, si comincia nel primo pomeriggio e
si finisce verso le dieci di sera. Tra cena e chiacchiere, finisco per andare a
letto tardi, ma per inveterata e paradossale abitudine continuo a svegliarmi
alle prime luci. Faccio toilette, mi vesto, esco per le strade ancora deserte
alla ricerca di un bar aperto, tiro in lungo la colazione e la lettura dei
giornali, passeggio un po’, poi mi arrendo e rientro. Guardo l’orologio.
Mancano sette ore alle due del pomeriggio, orario d’inizio delle prove.
Pensando che nell’afosa controra, invece di schiacciare un pisolino con l’aria
condizionata al massimo, mi toccherà di lavorare in una soffocante sala prove,
sento montare una generica irritazione erga omnes: lo stato d’animo più
appropriato per interessarsi alla cronaca politica italiana. Dunque accendo la
radio per seguire Prima Pagina, la rassegna stampa di Radiotre, e di tanto in
tanto, per ammazzare il tempo e sfogare un po’ il nervosismo, telefono alla
redazione per intervenire.
La scorsa settimana, a condurre Prima Pagina c’era
Alessandro Campi, politologo, docente universitario, editorialista del
“Mattino”, già ai vertici della Fondazione culturale di Gianfranco Fini. Mio
malgrado, mi aveva fatto una buona impressione. Dico mio malgrado, perché nello
stato d’animo in cui ascoltavo la trasmissione avrei preferito poter inveire
contro un conduttore sciocco e/o fazioso, tipo il Gianni Barbacetto che aveva
preceduto Campi, un personaggio ideale per fantasiose variazioni sui temi
“Povera Italia” e “Cortigiani vil razza dannata”. Invece Campi si dimostrava
preparato, equilibrato, sintetico, anche abbastanza eloquente se si esclude il
suo curioso vezzo di ripetere le ultime parole di quasi tutte le frasi. Quanto
alle sue posizioni politiche, di una destra seria, moderata, democratica,
prezzolin-weberiana, patriottica ma correttamente incravattata e liberale, di
primo acchito le trovavo persuasive, condivisibili, persino encomiabili; poi,
resomi conto che da esse ogni riferimento alla presente realtà politica e
sociale italiana era scrupolosamente espunto, e sostituito dalla presupposta
esistenza di un dignitoso paese anglo-europeo non meno immaginario dei
Granducati delle operette Belle Époque, le avevo apprezzate per la loro
impeccabile coerenza drammaturgica. Chi non ricorda la
proverbiale Ruritania del britannico Anthony Hope,
autore de Il prigioniero di Zenda, da
cui furono tratte operette, commedie musicali, film?
Bene, accettata la convenzione che l’azione si
svolge in una immaginaria Ruritalia, lo spettatore di buon gusto sospende
l’incredulità e non può fare a meno di condividere le valutazioni di Campi.
Venerdì scorso il tema centrale della rassegna stampa era la
vicenda della trattativa Stato-Mafia, con le relative intercettazioni
telefoniche di Nicola Mancino ex Ministro dell’Interno, Loris D’Ambrosio
consulente giuridico della Presidenza della Repubblica, e del Presidente
Napolitano. Come tutti sanno, alcuni giornali e commentatori, soprattutto Marco
Travaglio su “Il fatto quotidiano”, accusano la Presidenza della
Repubblica di avere esercitato pressioni sui magistrati che conducono le
inchieste per evitare coinvolgimenti di importanti uomini politici; altri
giornali e altri commentatori sostengono che a) non è vero che la Presidenza della
Repubblica abbia esercitato le dette pressioni b) in ogni caso, accusare la più
alta figura istituzionale italiana è in generale e sempre atto gravemente
irresponsabile, ma ancor più e peggio in questo difficile momento di crisi
economica e politica. Campi dà correttamente conto di entrambe le posizioni ma
propende per la seconda, l’unica compatibile con la sua Ruritalia. Detto
altrimenti: con la sua Italia, manierato Granducato da operetta.
Cogliendo al volo l’occasione di polemizzare, telefono a
Campi per dire la mia. Me lo passano. Purtroppo, sia per i lacci e laccioli
delle buone maniere, sia perché professionalmente traviato dalla convenzione
drammaturgica stabilita da Campi (Ruritalia = serietà, moderazione, rispetto
delle forme), invece di lanciarmi in una invettiva liberatoria contro Giorgio
Napolitano espongo pacatamente la seguente opinione: “Fondate o no che siano le
critiche a Napolitano per la vicenda in questione, il punto è questo. Finché la Presidenza della
Repubblica rimane, come da dettato costituzionale, una figura di garanzia
istituzionale al di sopra delle parti, è giusto combattere e zittire chiunque
le rivolga accuse politiche, perché si rende colpevole, per così dire, di lesa
maestà dello Stato. Ma se il Presidente della Repubblica si fa attore politico
di primo piano, come Giorgio Napolitano quando insediò il governo Monti senza
indire nuove elezioni e, ancor più, quando si volle regista della nostra
partecipazione alla guerra contro la
Libia , paese con il quale egli stesso aveva stipulato, appena
due anni prima, un solenne trattato di amicizia; allora, il Presidente della
Repubblica deve accettare le conseguenze del nuovo ruolo da lui scelto, ed
esporsi alla critica politica, anche la più grave e severa.”
Nella sua replica Campi, che, più esperto del dibattito
pubblico, ha più presenza di spirito, e soprattutto la Ruritalia l’ha inventata
lui, mi frega subito, e mi ribatte che, “Certo, tutti hanno diritto di
criticare il Presidente della Repubblica, ci mancherebbe: ma queste non sono
critiche, sono accuse vere e proprie, e di una gravità eccezionale, che mette a
rischio il tessuto istituzionale, etc.” E via che si volta pagina.
Trenta secondi per illuminare finalmente il popolo italiano,
e li ho vanamente sciupati! Vorrà dire che ripiegherò su questa tribuna che
Carlo Gambescia mi mette generosamente a disposizione, e dirò la mia per
iscritto, così a) sono più bravo di Campi; b) nessuno mi può chiudere il
microfono, al massimo smette di leggere; c) la convenzione drammaturgica e
l’ambientazione della vicenda la scelgo io, e scelgo l’Italia di R. Buffagni +
59 milioni e rotti di italiani, non l’immaginaria e compunta Ruritalia di A.
Campi. Per evitare incresciose controversie sui diritti d’autore,
contestualmente registro e deposito il marchio Italia®.
Ora, nel merito della questione la mia è questa. Napolitano
ha fatto, direttamente e indirettamente, pressione sui giudici per salvare il
suo collega Mancino e soprattutto il ceto politico del quale lui e Mancino sono
esponenti di primo piano? Ma certo che sì. In Italia®, non mi risulta che sia
ufficio o anche solo abitudine del Presidente della Repubblica telefonare a
singoli magistrati con cadenza settimanale, mensile, settennale: dunque, se
Napolitano chiama dei magistrati coinvolti in una delicatissima inchiesta
politica, anche qualora si limitasse a chiedergli che tempo fa da quelle parti,
come è andata la pagella dei figli e cosa ha preparato di buono per il pranzo
la loro signora, eserciterebbe una pesante, diretta, inequivocabile pressione
su chiunque, tra di loro, non ignori beatamente come va il mondo. (Certo, in
Ruritalia il Presidente della Repubblica presiede anche il Consiglio Superiore
della Magistratura, e dunque se telefona ai magistrati non fa che comportarsi
da padre premuroso, al massimo un po’ troppo apprensivo).
Sulla trattativa Stato-Mafia, poi, in Italia® si pensa,
generalmente, quanto segue. Senza bisogno di ripescare dai libri di storia del
liceo Giovanni Giolitti e i suoi sistematici accordi con i capobastone per
garantirsi le necessarie maggioranze elettorali in Meridione, che indussero
Gaetano Salvemini a definirlo plasticamente “ministro della malavita”, basterà
ricordare la vicenda di Ciro Cirillo, assessore ai lavori pubblici della
regione Campania che nel 1989 fu rapito dalle Brigate Rosse e liberato, dietro
versamento di un cospicuo riscatto, grazie alla mediazione determinante della
Nuova Camorra Organizzata di don Raffaele Cutolo; e confrontare la vicenda con
le dichiarazioni plutarchiane divinizzanti la ragion di Stato rilasciate da
quasi tutto il ceto politico italiano in occasione del rapimento di Aldo Moro.
Dunque, in Italia® R. Buffagni e gli altri italiani non trasecolerebbero,
qualora venisse provata anche in sede giudiziaria una trattativa Stato- Mafia,
condotta allo scopo di salvare il posto e/o la pelle a politici di rilevante
importanza per il corretto funzionamento del backstage politico-economico
italiano, l’unico che conti davvero in Italia®; o meglio, essi trasecolerebbero
soltanto per l’eventuale, inaudito sfociare in una sentenza di condanna
giuridicamente ineccepibile di un siffatto procedimento giudiziario. (In
Ruritalia, invece, a quanto disse ai radioascoltatori di Prima Pagina di sabato
23 giugno 2012 il suo inventore Campi, se un alto magistrato, intervistato da
un giornalista, nega in toni ultimativi di avere ricevuto pressioni di sorta
dal Presidente Napolitano, è facile, naturale, ragionevole e doveroso credergli
subito senza il minimo dubbio o retropensiero).
Quanto poi alla questione più complessa e teoreticamente
meno univoca, se sia giusto o meno in sé e per sé rivolgere pubbliche accuse
infamanti a chi rivesta la più alta carica istituzionale dello Stato, in
Italia® la si pensa in maniere diverse. Una minoranza propende decisamente per
il Fiat justitia et pereat mundus. Usualmente, costoro si dividono nelle
seguenti categorie: a) minori di anni 18; b) nemici politici accaniti
dell’accusato. Un’altra minoranza propende per difenderlo a oltranza, ma
all’analista essa non propone enigmi politici, morali o psicologici, essendo
formata esclusivamente da coloro che rischiano di essere trascinati nella sua
caduta. Un’altra minoranza, più consistente e altrettanto poco enigmatica,
propende per difenderlo finché sia possibile farlo senza rischiare in proprio.
Una maggioranza o zona grigia è incerta, perché da un canto ha paura del caos
che potrebbe conseguire alla Endlösung morale di tutte, tuttissime le autorità
politiche e istituzionali italiane; dall’altro, confusamente sente che se si
può stendere il mantello di Noè sulle vergogne di un ceto politico del quale,
nel complesso, ci si fida, diventa invece politicamente autolesionista e
psichicamente devastante passare sopra alle infamie di un sistema
esageratamente marcio, irriformabile, impotente e maligno insieme. ( nella
Ruritalia di Campi, invece la convenzione drammaturgica esige che l’Italia® non
esista, e dunque il problema non si pone).
Personalmente, la penso così. L’educazione cattolica mi ha
vaccinato contro il moralismo. In Vaticano si è visto, si vede e si vedrà di
peggio, e non per questo i Vangeli sono falsi, Dio non esiste, e tutti i preti
sono pedofili imbroglioni. Ciò premesso, l’Italia® è interamente sita
nell’aldiquà. Secondo il mio personale avviso, Giorgio Napolitano è
direttamente e coscientemente responsabile di atti politicamente e moralmente
ben più gravi di un insabbiamento. Dico Monti, dico Libia, e per me basta e
avanza. Non sono un giurista, non so se Monti e Libia configurino anche
fattispecie di reati, e francamente non me ne importa un gran che. Ricordo che
sia l’operazione Monti, sia l’operazione Libia, hanno richiesto vaste campagne
di manipolazione mediatica dell’opinione pubblica nelle quali s’è fatto
larghissimo abuso di intercettazioni telefoniche, inchieste giudiziarie, e
concetti giuridico-filosofici quali i “diritti umani”. Bene. Non so
nell'immaginaria Ruritalia del professor Campi, ma qui in Italia® abbiamo
un proverbio: “chi la fa, l’aspetti.”
Roberto
Buffagni
(*) Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo
lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo
fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con
Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo,
ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica
vintage...
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