Riforma della moneta? Per andare dove?
Ogni volta che la crisi economica
incalza, si riaffaccia il mito della riforma monetaria: l'intuizione non è
nostra ma di Keynes (Teoria generale) che di crisi se ne
intendeva... Insomma, appena il capitalismo sembra andare in
tilt gli economisti dilettanti - una corte dei
miracoli oggi attivissima sul Web - iniziano a
"vendere" sogni a occhi aperti. Per dirla
con Joseph Conrad (e due...), autorità in materia (di sogni,
anzi incubi...), « i sognatori» all’improvviso presi dal «bisogno di
agire (…) abbassano la testa e si precipitano contro i muri con quella serietà
sconcertante che può dare soltanto un’immaginazione disordinata»
(Vittoria).
Definizione perfetta. E di quella volontà autodistruttiva che
sembra animare, e da sempre, alcuni uomini,
particolarmente sensibili al pericoloso fascino
del Fiat justitia et pereat mundus. Cerchiamo
allora di essere costruttivi: che cos’ è la moneta? Dal punto di vista
economico è unità di misura, mezzo di scambio, di conservazione e
trasmissione dei valori (misurati) nel tempo e nello spazio. Da quello
sociologico è uno strumento, tra i tanti, di potere sociale e politico. Ossia è
un’unità di misura, scambio, conservazione e trasmissione del potere sociale e
politico.
Quando perciò si parla di riforma della moneta la questione
non va affrontata solo sotto l’aspetto economico. E per una semplice ragione:
qualsiasi riforma anche quella teoricamente perfetta (ammesso che esista),
implica una riforma del potere sociale e politico. Non esistono riforme
monetarie socialmente e politicamente “neutrali”. E di conseguenza indolori,
come invece cinguettano alcuni dottor Dulcamara del
web. Fermo restando che il potere sociale e politico, anche dopo la
riforma monetaria più radicale, tenderà per regolarità metapolitica a
riformarsi, puntando su altre unità di misura, mezzi di scambio, eccetera.
Si pensi, per restare all'oggi,
a come sia difficile comporre il conflitto tra
monetaristi e keynesiani. E parliamo di una “guerricciola” interna al sistema
economico esistente che concerne non tanto la riforma qualitativa della moneta
quanto il suo controllo quantitativo. Ora, se il solo diminuire
(monetaristi) o far crescere (keynesiani) l’indebitamento dello stato implica
politiche economiche e fiscali capaci di provocare mutamenti
redistributivi del potere sociale politico e quindi in certa misura conflitti
sociali e politici, figurarsi quel che potrebbe causare il tentativo di
introdurre una radicale riforma della moneta in chiave qualitativa. Altro
che "guerricciola"...
Perciò il vero problema non è di tipo teorico: non
concerne la possibilità concettuale di rinunciare a una o
più funzioni economiche della moneta, bensì riguarda la necessità
di interrogarsi preventivamente e onestamente sull’ attuale composizione e
redistribuzione del potere sociale e politico, certamente imperfetta ma
migliore di altre epoche storiche. Ecco il dato reale
da cui partire. E non l' ipotetica società del
non-denaro, del quasi-denaro, del denaro-non-denaro e altre fumisterie
del genere. Perché creare false aspettative e disprezzo per la
realtà che ci circonda, così faticosamente costruita, evocando
società oniriche? Occorre invece senso della realtà, capacità
di restare a guardia dei fatti: l'intellettuale in particolare
deve rimanere vigile per aiutare le persone a
riflettere sui devastanti conflitti politici e sociali che una
riforma monetaria radicale potrebbe innescare. Insomma, mai
scherzare con il fuoco delle idee, mai confondere i sogni con la realtà: quel
che va evitato - ripetiamo - è di commettere, soprattutto
a livello cognitivo, l’errore del sognatore: di precipitarsi «contro i
muri con quella serietà sconcertante che può dare soltanto un’immaginazione
disordinata». E per andare dove? Il potere, come insegnano
storia e sociologia, tende sempre a riformarsi anche nelle società fondate sul
baratto, composte di tribù pronte a scendere
in guerra con altre tribù, appena le risorse
da barattare si facevano scarse: società arcaiche, dove tra l’altro
si viveva poco e male. E che dire dei più acculturati
e civili moderni? Nella Russia
post-1917 si auspicava non solo la riforma ma addirittura
l’abolizione della moneta… Possibile che la parabola bolscevica da Lenin a
Gorbaciov, dall'elogio « dei pagamenti non
monetari» a quello della « piena
convertibilità del rublo», non abbia insegnato nulla?
Chi di moneta “riformisce”, pardon ferisce, di moneta perisce.
Carlo Gambescia
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