venerdì 22 giugno 2012

Riforma della moneta?  Per andare dove? 



Ogni volta che  la   crisi economica incalza, si riaffaccia il mito della riforma monetaria: l'intuizione non è nostra ma di Keynes (Teoria generale) che di crisi se ne intendeva...  Insomma,  appena il capitalismo sembra andare in tilt   gli economisti dilettanti  -  una  corte dei miracoli oggi attivissima sul Web -    iniziano  a "vendere" sogni   a  occhi aperti.  Per dirla con  Joseph Conrad (e due...),  autorità in materia (di sogni, anzi incubi...),  « i sognatori» all’improvviso presi dal «bisogno di agire (…) abbassano la testa e si precipitano contro i muri con quella serietà sconcertante che può dare soltanto un’immaginazione disordinata» (Vittoria).  
Definizione perfetta. E   di quella  volontà autodistruttiva che sembra animare,  e da sempre,  alcuni  uomini, particolarmente sensibili  al  pericoloso fascino del   Fiat justitia et pereat mundus.  Cerchiamo allora di essere costruttivi: che cos’ è la moneta?  Dal punto di vista economico è unità di misura, mezzo di scambio,  di conservazione e trasmissione dei valori (misurati) nel tempo e nello spazio. Da quello sociologico è uno strumento, tra i tanti, di potere sociale e politico. Ossia è un’unità di misura, scambio, conservazione e trasmissione del potere sociale e politico.

Quando perciò si parla di riforma della moneta la questione non va affrontata solo sotto l’aspetto economico. E per una semplice ragione: qualsiasi riforma anche quella teoricamente perfetta (ammesso che esista), implica una riforma del potere sociale e politico. Non esistono riforme monetarie socialmente e politicamente “neutrali”. E di conseguenza indolori, come invece cinguettano alcuni  dottor Dulcamara del web.  Fermo restando che il potere sociale e politico, anche dopo la riforma monetaria più radicale,  tenderà per regolarità metapolitica a riformarsi, puntando su altre unità di misura, mezzi di scambio, eccetera.  
Si pensi, per restare all'oggi,  a  come sia  difficile comporre il conflitto tra monetaristi e keynesiani. E parliamo di una “guerricciola” interna al sistema economico esistente che concerne non tanto la riforma qualitativa della moneta quanto il suo controllo quantitativo. Ora,  se il solo diminuire (monetaristi) o far crescere (keynesiani) l’indebitamento dello stato implica politiche economiche e fiscali  capaci di provocare mutamenti redistributivi del potere sociale politico e quindi in certa misura conflitti sociali e politici, figurarsi quel che potrebbe causare il tentativo di introdurre una radicale riforma della moneta in chiave qualitativa.  Altro che  "guerricciola"...
Perciò il vero problema non è  di tipo teorico: non concerne la possibilità concettuale di rinunciare  a una o più  funzioni economiche della moneta,  bensì riguarda la necessità di interrogarsi preventivamente e onestamente sull’ attuale composizione e redistribuzione del potere sociale e politico, certamente imperfetta ma migliore di altre epoche storiche. Ecco  il dato reale  da cui partire. E   non  l' ipotetica società  del non-denaro, del quasi-denaro, del denaro-non-denaro e altre  fumisterie del genere.  Perché  creare false aspettative e disprezzo per la realtà che ci circonda, così faticosamente costruita,  evocando società oniriche?  Occorre invece  senso della realtà, capacità di restare a guardia dei fatti:   l'intellettuale in particolare  deve rimanere  vigile  per aiutare le persone a riflettere  sui  devastanti conflitti politici e sociali che una riforma monetaria radicale  potrebbe innescare. Insomma, mai scherzare con il fuoco delle idee, mai confondere i sogni con la realtà: quel che va evitato - ripetiamo -   è  di commettere, soprattutto a livello cognitivo, l’errore del sognatore: di precipitarsi «contro i muri con quella serietà sconcertante che può dare soltanto un’immaginazione disordinata». E   per andare dove? Il potere, come insegnano storia e sociologia, tende sempre a riformarsi anche nelle società fondate sul baratto,  composte di    tribù  pronte a scendere   in guerra con altre tribù,  appena  le  risorse da barattare si facevano scarse:  società arcaiche, dove tra l’altro si viveva  poco e male.   E che dire dei  più acculturati e  civili  moderni?  Nella Russia post-1917  si auspicava non solo la riforma ma addirittura l’abolizione della moneta… Possibile che la parabola bolscevica da Lenin a Gorbaciov,  dall'elogio « dei pagamenti non monetari»    a quello  della « piena convertibilità del rublo»,  non abbia insegnato nulla?   Chi di moneta “riformisce”,  pardon ferisce, di moneta perisce. 
Carlo Gambescia

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